Regole per le prossime generazioni
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Regole per le prossime generazioni

MATTEO BRUNO LUNELLI, PRESIDENTE DI CANTINE FERRARI, SPIEGA PERCHE' IL SETTORE VITIVINICOLO E' ADATTO ALLE IMPRESE FAMILIARI E AI MANAGER CON IMPORTANTI ESPERIENZE INTERNAZIONALI

Da un appartamento a Londra alla villa di famiglia in Trentino, dall'alta finanza ai vitigni di Chardonnay, dai meeting internazionali al confronto sul terreno con le maestranze locali. La vita di Matteo Bruno Lunelli, 40 anni, presidente di Cantine Ferrari e amministratore delegato della holding Lunelli, è cambiata in pochi minuti. Il tempo sufficiente per rispondere alla telefonata dello zio Gino e decidere di abbandonare il promettente percorso nella banca d'affari Goldman Sachs per prendere in mano le redini dell'azienda familiare, rientrando così nell'alveo di una tradizione che dal 1952 vede i Lunelli guidare l'espansione del gruppo.
 
âžœ Davvero, quando le è arrivata quella telefonata, non ci ha pensato un attimo a tornare in Italia?
 
In un certo senso l’aspettavo…. Ero sempre rimasto in contatto con Gino Lunelli, mio zio e presidente del gruppo, e quando mi telefonò a Londra per chiedermi se volessi restare per sempre un manager o mettermi alla prova come imprenditore non ho avuto dubbi e ho preso quasi il primo volo. Pochi giorni dopo sono atterrato a Verona, al Vinitaly, come si suol dire, in medias res.
 
âžœ Eppure il suo percorso professionale, dopo la laurea, l’aveva attirata lontano…
 
Ho lavorato a New York, Zurigo, Londra. Un’esperienza bellissima e che rifarei mille volte. Quando una grande banca d’affari ti propone di metterti alla prova in un contesto internazionale, accanto a professionisti eccezionali, molti dei quali, tra l’altro, italiani, come Mario Draghi, Claudio Costamagna, Massimo Tononi (presidente di Borsa Italiana), sei quasi obbligato a dire di sì. Però in realtà la mia scelta fu la conseguenza di un percorso che era iniziato qualche anno prima e che guardava già all’Europa con la decisione di approfondire i temi dell’economia monetaria e finanziaria europea. Era un periodo molto interessante la seconda metà degli anni Novanta, si preparava l’ingresso nell’euro, si studiavano gli accordi di Maastricht, i modelli della Bce, cercando di prevedere quello che sarebbe potuto accadere. Nella vita capita poche volte di poter assistere a un esperimento del quale, in seguito, si possono verificare così da vicino gli effetti e le sue conseguenze.
 
âžœ A distanza di qualche anno il suo entusiasmo per l’unione monetaria europea è rimasto lo stesso?
 
Io sono un europeista convinto. Innanzitutto per ragioni politiche e sociali. Ma anche l’unione monetaria mi convince. Alcuni punti critici erano evidenti già dalla nascita ma continuo a pensare che, nel lungo periodo, sarà una strategia vincente. Per l'Italia essere parte dell'euro ha già portato una serie di vantaggi in termini di bassi tassi d'interesse, bassa inflazione, stabilità. È chiaro che, in caso di shock monetari, l’unione ha delle controindicazioni perché le politiche sono omogenee ma le economie dei singoli paesi si muovono in maniera diversa. Ma questo dipende anche dal fatto che il progetto europeo non è ancora compiuto, sia dal punto di vista delle politiche fiscali che di quelle economiche. Siamo a metà del guado, il momento peggiore per tornare indietro. Se concluderemo il passaggio tutte le distorsioni si correggeranno.
 
âžœ  Nel suo ruolo oggi di amministratore delegato del gruppo Lunelli che cosa le resta di questa sua esperienza internazionale?
 
Molta sicurezza di me e dei miei mezzi. E poi aver lavorato con gente di tutto il mondo è fondamentale perché portare un vino nel mondo significa raccontare una storia e per farlo devi conoscere al meglio chi hai di fronte.
 
âžœ  Lunelli è una delle tante imprese familiari italiane, circa 784mila secondo l’ultimo EY Family Business Year Book, l'85% del totale. Un numero in linea con quello delle principali economie europee ma che in Italia registra una longevità media maggiore che altrove. Quali sono secondo lei i vantaggi di un’azienda familiare?
 
Nel nostro caso essere un’azienda familiare è sempre stato un vantaggio perché la famiglia ha avuto una passione e una dedizione uniche. Ma soprattutto una famiglia ha un orizzonte temporale di lunghissimo periodo e nel mondo del vino è fondamentale. Quando si pianta un nuovo vigneto ci vogliono anni per avere le autorizzazioni e preparare il terreno, poi si innestano le viti, occorrono 7/8 anni per raccogliere i primi frutti d'eccellenza, e poi il vino che ne deriva maturerà per diventare una grande riserva. Tra tutto possono passare vent'anni. Solo un'azienda familiare può ragionare in un'ottica generazionale. Un altro vantaggio è che nel vino la famiglia ci mette la faccia garantendo la qualità e i valori.
 
âžœ E gli elementi di criticità invece? Lei ha appena raccolto il testimone da suo zio ma proprio il passaggio generazionale spesso è il momento nel quale molte realtà familiari si disgregano. Come vi siete tutelati?
 
Occorre dotarsi di regole di governance molto chiare. Negli ultimi anni c’è sempre più consapevolezza rispetto alle problematiche delle aziende familiari e anche nelle università ci sono corsi dedicati a questo. Io ricordo un bellissimo corso sulla corporate governance del professor Donato Masciandaro, con Guido Rossi per i risvolti societari e Fabrizio Barca per la parte teorica sugli assetti proprietari. Da lì nacque una tesi che è stata poi il primo passo per scrivere regole di governance molto precise per il mio gruppo. Oggi il nostro patto di famiglia disciplina la circolazione delle partecipazioni sociali, l'ingresso di nuovi membri esterni nei consigli d'amministrazione, l’ingresso di nuovi familiari in azienda… Sono regole già scritte per i nostri figli e per gli eredi che verranno.
 
âžœ  Il mondo del vino è da qualche anno una delle voci più importanti del made in Italy, sia in termini di immagine che di fatturato, esportazione, indotto… Quali sono ancora i margini di crescita per questo settore?
 
Il vino italiano vive oggi una fase positiva di crescita nei mercati internazionali perché è amato, riconosciuto, richiesto, considerato l’espressione di uno stile di vita che piace, a cominciare dalla cucina. Le bollicine, in particolare, registrano un periodo particolarmente positivo e che può solo crescere perché sono un prodotto particolarmente adatto allo stile di vita moderno, legato a occasioni social, ideali compagne di aperitivi, party, cibi leggeri, freschi.
 
âžœ  Si dice spesso che in Italia mancano grandi gruppi in grado di difendere il made in Italy sui mercati internazionali e di poter competere con le maggiori realtà europee dei rispettivi settori. È così anche nel mondo del vino? In che misura, con la recente operazione di acquisizione del 50% del marchio Bisol, sommata a quelle precedenti, il gruppo Lunelli sta dando una risposta a questo problema?
 
Il mondo del vino è una realtà particolarmente frammentata. Se alle spalle di una bottiglia c’è una denominazione forte questo può non essere un problema perché il cliente ti riconosce, altrimenti occorrono capacità manageriali che non sempre le piccole aziende hanno. È una sfida complessa perché si tratta di mantenersi fortemente radicati sul territorio, perché un grande vino è sempre espressione del territorio, e nello stesso tempo vendersi in tutto il mondo, magari con le nuove tecnologie. Per questo credo che qualche consolidamento in più nel settore farebbe solo bene. Noi cerchiamo di farlo aggregando marchi che siano espressioni di eccellenza del proprio territorio d'origine, le bollicine di Trento, il vino fermo Sagrantino di Montefalco in Umbria, Bisol per il Prosecco... E per chi proprio non vuole bere vino abbiamo pure l’acqua Surgiva.
 
 

di Lorenzo Martini

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