Chi vince e chi perde al gioco, per niente nuovo, della globalizzazione
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Chi vince e chi perde al gioco, per niente nuovo, della globalizzazione

LA STORIA DIMOSTRA CHE, ALL'INIZIO DEL SECOLO SCORSO, ABBIAMO GIA' VISSUTO MOMENTI SIMILI

di Andrea Colli, professore ordinario di storia economica

Negli ultimi tempi la storia “spacca”, e non a caso. Quando consolidate certezze vengono meno, e il futuro si fa incerto, ci si si rivolge volentieri al passato. E gli storici conoscono bene tante cose: per esempio, hanno molto da dire sulla globalizzazione, sul restringimento dello spazio determinato dalla tecnologia, dalle istituzioni e dalla cultura, che determina flussi di merci, capitali, ed esseri umani, sotto forma di migrazioni.
L'ordine mondiale post-1989 sta cambiando. La globalizzazione è sotto attacco, e gli aggressori sono i nazionalismi e i populismi, insieme a nuove tentazioni "imperiali". Nulla di strano, per gli storici. La globalizzazione non è un fatto nuovo. In passato c’è già stata, è scomparsa ed è ritornata. Non importa se a generarla fu l'impero romano, o la dominazione Moghul di Gengis Khan sull’Asia centrale. Non rileva se furono  gli imperi commerciali delle Compagnie delle Indie nel XVIII secolo, o il viaggio attraverso l'impero britannico di Phileas Fogg, il protagonista del Giro del mondo in 80 giorni:: la globalizzazione va ad ondate, e rima, in una certa misura, con se stessa.
Prima di quella attuale, c’è stata un’altra globalizzazione, che ha creato un mondo molto simile a quello in cui siamo vissuti finora. Ha tratto origine da innovazioni tecnologiche che hanno ristretto lo spazio e il tempo: ferrovie, telegrafo, telefono, rotativa - una vera e propria rivoluzione Ict. È stata accompagnata da elementi istituzionali che ne hanno accelerato la portata, come, ad esempio, il Gold Standard, e dalla diffusione degli accordi commerciali. È stato un mondo senza confini, in cui le migrazioni di massa erano la normalità, e i capitali si muovevano incessantemente alla ricerca di profitti; in cui fioriva il commercio internazionale e la cultura cosmopolita dominava. Ma c’erano pericoli nascosti: il nazionalismo trionfava in tutto il mondo, mentre la disuguaglianza e l'angoscia stavano minando la tranquillità del "vecchio ordine".
 
La scomparsa di un mondo, la morte di un sogno

Gli storici sanno anche che questo mondo globale è bruscamente scomparso il 28 giugno 1914, in una mattina polverosa e assolata, a Sarajevo. È stato ucciso dai colpi sparati da un giovane patriota serbo, anche se la sua salute stava deteriorando da tempo. La prima guerra mondiale si rivelò l'inizio di un lungo periodo di instabilità, che durò fino alla conclusione di un altro conflitto globale. La lunga, e triste "guerra civile europea", come i tre decenni che seguono lo scoppio della prima guerra mondiale sono stati definiti, è costata ben oltre ottanta milioni di morti, tra militari e civili. Ma nelle trincee fangose dei campi di battaglia fu ucciso anche tutto ciò che aveva reso davvero globale quel mondo: le istituzioni che regolavano il commercio mondiale e degli investimenti e quelle che permettevano alle persone di viaggiare liberamente e in sicurezza. La lunga depressione tra le due guerre annientò, soprattutto, la cultura cosmopolita che contraddistingueva l’aprirsi del ventesimo secolo, così vividamente descritta dal Globo gigante che accoglieva i visitatori all'Exposition Universelle di Parigi del 1900.
La fine della seconda guerra mondiale, però, è anche coincisa con un’inversione di tendenza, e il riavvio dei processi di integrazione globale. Progressivamente furono costituite istituzioni che promossero l'integrazione (economica, ma anche politica), in un mondo, però, ancora diviso dal muro che attraversava una delle sue città più belle, Berlino. La marcia verso un nuovo ordine mondiale è proseguita, tuttavia, costantemente e con accelerazioni improvvise, come per esempio è accaduto nel 1978, quando la Cina inaugurò una moderna versione della ottocentesca (e imposta) “open door policy”, nel 1989, quando il muro di Berlino finalmente crollò, e infine nel 2001, quando sempre la Cina aderì alla Wto.
La nuova globalizzazione ha generato anch’essa una crisi finanziaria globale, governata con successo grazie alla cooperazione internazionale. Ma anche in questo caso, tuttavia, l'integrazione ha fatto uscire il genio dalla lampada - o, meglio, i geni: il nazionalismo, la disuguaglianza, la divergenza.
 
Di fronte all’incognita di un viaggio misterioso

Ora siamo a un punto nodale nel moto oscillatorio della globalizzazione, un punto in cui un’inversione potrebbe essere inevitabile. Come gli storici sanno bene, tuttavia, non esiste un singolo futuro, ma molti “domani”, e quale di essi alla fine si realizzerà, dipenderà in gran parte da come sarà gestito il disagio causato dalla globalizzazione. Nel frattempo, possiamo solo farci la stessa domanda che Passepartout spesso poneva al suo padrone di fronte all’incognito di un viaggio misterioso: "E ora, mister Fogg?"

Per approfondire:
Ha origine a Pechino il malessere dell'Europa. Uno studio di Italo Colantone e Piero Stanig
Il senso di paura non basta a spiegare i nuovi populismi. Uno studio di Massimo Morelli
Alimentata dalle importazioni anche la bolla finanziaria Usa. Uno studio di Julien Sauvagnat
Quando la concorrenza cinese mette a repentaglio la salute. Uno studio di Jèrome Adda

 

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