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Carlo Cracco, l'uovo e la mastika

LO CHEF, CONSIDERATO UNO DEI GRANDI INNOVATORI DELLA CUCINA ITALIANA, OSPITE D'ECCEZIONE IN BOCCONI PER UNA LEZIONE SUL TEMA DELL'INNOVAZIONE

Da piccolo voleva entrare in seminario, oggi è uno dei più rinomati chef del nostro paese. Carlo Cracco, guest speaker in Bocconi a una lezione della classe di Gianmario Verona e Alberto Grando del corso di gestione della tecnologia, dell’innovazione e delle operations, ha raccontato agli studenti dello spirito che anima la sua cucina. Che è quello della ricerca non solo della qualità, ma anche e soprattutto dell’innovazione e della sperimentazione. “Storicamente l'innovazione è indagata in settori come l’high tech, mentre la sua comprensione in contesti low tech è invece ancora relativamente limitata”, sottolineano Verona e Giada Di Stefano, PhD candidate del Dipartimento di management e tecnologia. “La gourmand cuisine è un laboratorio ideale per apprendere le logiche retrostanti alle dinamiche competitive e innovative in contesti in cui l'innovazione dipende sia dalla tecnicità dei prodotti sia da una accurata gestione dei business model”.

Carlo Cracco
“Il compito dello chef è trasformare, mescolare, condire”, spiega Cracco all’aula gremita anche da alcuni studenti del master in Fine food and beverage della Sda Bocconi. “L’unica cosa che differenzia veramente un cuoco è la firma che riesce a mettere in un piatto. Dare l’idea a chi sta mangiando che quel piatto può trovarlo solo da te e solo cucinato da te”. Ricerca, elaborazione, invenzione, che Cracco ha messo a punto nel suo percorso professionale tra Francia e Italia, ma partendo con l’idea di fare tutt’altro: “Da piccolo ero deciso a fare il prete, ma i miei non erano d’accordo e mi convinsero a continuare gli studi”. Da lì, dopo la formazione alla scuola alberghiera, l’inizio con Gualtiero Marchesi a Milano, l’attività in Francia e all’Enoteca Pinchiorri di Firenze, ristorante che grazie anche alla sua attività (“avevo 26 anni ed era la prima esperienza come responsabile di cucina”) ottenne la terza stella Michelin “dopo venti anni che ne vantava due”. Poi l’acquisto di un piccolo ristorante ad Alba e, dopo il successo, il ritorno a Milano, è il 2001, per l’apertura di Cracco-Peck, oggi Cracco, considerato dal 2007 uno dei 50 migliori ristoranti al mondo.
 
Raccontando delle sue diverse esperienze, Carlo Cracco sottolinea che sia fondamentale trovare, nella propria cucina, quel quid che la renda diversa dalle altre. Innanzitutto, “nella ristorazione il cambiamento è la cosa più ricorrente ed è difficile che un ristorante abbia una storia particolarmente lunga, a meno che non sia un’attività di famiglia”. E poi, per attirare sulla propria opera l’attenzione internazionale, è necessario un lavoro di ricerca che lo renda unico. Come è stato per alcuni dei piatti che lo hanno reso famoso e dei quali lo chef vicentino ha raccontato la genesi. È il caso dell’insalata russa caramellata, del baccalà (“o meglio, del merluzzo salato”) nero perché marinato nel caffè, oppure della pietanza che lo ha distinto nel panorama internazionale: l’uovo. “Nel ’97 incontrai Ferran Adrià, cuoco spagnolo e mi colpì la sua capacità di vedere oltre. Mi disse ‘Ciò che conta è la capacità di essere se stessi’, che significa non copiare. Cosa che invece, oggi, fanno in molti”.
Copia che è argomento scottante nell’ambito dell’alta cucina, un settore fortemente legato all’innovazione ma nel quale è impossibile un sistema di tutela della proprietà intellettuale, e che, di conseguenza, deve affidarsi a un sistema basato sulle norme sociali, come sottolineato da Verona e Di Stefano in questo articolo.
 
Poiché tutti i componenti sui quali lavorava Adrià erano ‘bruciati’, nel senso che una volta sperimentati dalla sua squadra, restava ben poco margine per innovare senza copiare, Cracco decide di concentrarsi sulle uova, componente “fino ad allora considerato solo come complemento e non come protagonista del piatto”. Nasce così l’uovo marinato e poi, perché “le ricette devono sempre evolversi” la pasta all’uovo da esso ricavata, di fatto “la vera pasta all’uovo, perché esclusivamente di tuorli, senza farina”.
 
Sul fronte più prettamente del management, Cracco sottolinea alcuni aspetti legati alla gestione di un ristorante. “Attività che rende pochissimo dal punto di vista del business e che si fa al 99% per passione”. Allo stesso tempo, però, un buon ristorante permette allo chef di sviluppare altri lavori, “come creare una propria linea di prodotti o di diventare un opinion leader circa un determinato componente alimentare”. Come è successo allo stesso Cracco in Grecia, grazie all’utilizzo della mastika di Chios. “La mastika è una resina che origina dal lentischio, ma che quest’arbusto produce soltanto in questa piccola isola greca. È utilizzata per i dolci e il vino, ma anche per produrre chewingum”. Cracco decide di sperimentarla per una ricetta di tutt’altro genere e così ne nasce una pasta in Italia e una grande stima da parte della penisola ellenica. Una vicenda che racchiude l’essenza dello chef secondo Cracco (“il nostro compito è prendere ciò che c’è di tradizionale in un luogo e reinterpretarlo per avere spunti per nuovi piatti”), ma che mostra, di rimando, anche come più in generale il settore dell’agroalimentare sia ancora un territorio in una certa misura vergine. “Ci sono margini di crescita notevoli oggi tra ciò che c’è e ciò che si potrebbe fare. È sufficiente avere idee, coraggio e un minimo di gusto”.


di Andrea Celauro

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