Brexit: prove tecniche di distensione
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Brexit: prove tecniche di distensione

CON L'ACCORDO RAGGIUNTO NEI GIORNI SCORSI, IL WINDSOR FRAMEWORK, UNIONE EUROPEA E GRAN BRETAGNA RIPARTONO DAL DIALOGO. L'ACCORDO DI PER SE' CAMBIA POCO LA SOSTANZA DEL PROTOCOLLO SULL'IRLANDA DEL NORD, IL PRINCIPALE PUNTO DI FRIZIONE TRA UE E UK, MA APRE UNO SPIRAGLIO SU UNA POSSIBILE RICOMPOSIZIONE DELLA FRATTURA CHE DALL'INIZIO OPPONE LE PARTI SULLE QUESTIONI DOGANALI

Il Windsor Framework, lo schema ufficializzato da Ursula von der Leyen e Rishi Sunak il 27 febbraio scorso, è stato salutato dai più come un passo avanti nella questione commerciale del Protocollo sull’Irlanda del Nord, ovvero quel nodo gordiano sul quale sono nate gran parte delle tensioni tra Ue e Uk dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Al centro dello schema Windsor, che dovrebbe reinterpretare (ma non modificare formalmente) il Protocollo sull’Irlanda del Nord, ci sono nuove regole per il transito delle merci: “Si stabilisce un corridoio ‘verde’, privo di controlli doganali, per le merci in arrivo dalla Gran Bretagna e consumate all’interno dell’Irlanda del Nord, e un corridoio ‘rosso’, per le merci che invece attraverso l’Irlanda del Nord devono transitare verso la Repubblica d’Irlanda, quindi verso l’Unione europea”, spiega Gianmarco Ottaviano, Achille e Giulia Boroli Chair in European studies alla Bocconi. “Le merci del corridoio rosso saranno controllate, come accadeva prima indistintamente per tutte le merci, per valutarne l’aderenza agli standard Ue e decidere l’eventuale applicazione di dazi in base al paese in cui sono state originariamente prodotte. Le merci del corridoio verde potranno invece entrare liberamente”. Da questo punto di vista, il Windsor Framework, “pur essendo una revisione tutto sommato marginale del Trattato, è un accordo molto importante per i cittadini dell’Irlanda del Nord, che potranno ricevere più facilmente e a minor prezzo le merci in arrivo dalla Gran Bretagna per la loro vita di tutti i giorni. Una cosa da non sottovalutare”. Ma soprattutto, “è il segnale che Uk e Ue ricominciano a parlarsi”.

Questione di dogane
Per capire perché la questione nord-irlandese sia così importante e perché il Protocollo sull’Irlanda del Nord abbia rappresentato fin dall’inizio l’aspetto più complesso del Withdrawal Agreement col quale si è sancita la Brexit, bisogna fare un passo indietro al 1998. In quell’anno, l’Accordo del Venerdì Santo sancì la pace tra Cattolici e Unionisti nell’Irlanda del Nord, stabilendo, tra l’altro, che non ci dovessero essere frontiere fisiche tra le due parti dell’Irlanda. Al momento della Brexit, quindi, per evitare il rischio di riaccendere la miccia del conflitto con una nuova barriera doganale tra le due parti dell’Irlanda, con il Protocollo si è stabilito un regime particolare per l’Irlanda del Nord: l’Ue avrebbe delegato alla Gran Bretagna il controllo delle merci in entrata nella Repubblica d’Irlanda (quindi in Ue) e questo controllo sarebbe stato fatto direttamente nei porti dell’Ulster. “Di fatto, quest’ultima, pur essendo parte della Gran Bretagna, quindi fuori dall’Unione europea e dal Mercato unico, si è trovata in una sorta di limbo, in un sistema in cui coesistono regole nazionali britanniche e regole europee, queste ultime tese a mantenere l’allineamento con le regole comunitarie per gli standard dei prodotti”, spiega Paola Mariani, professoressa di diritto internazionale ed europeo. La questione è che l’Unione europea non può cedere sul tema dei controlli amministrativi, “poiché non può rischiare che  il Regno Unito, non più nello spazio del Mercato Unico, diventi la testa di ponte attraverso cui entrino senza dazi e siano liberamente scambiate senza controlli merci di altri paesi nell’ambito di eventuali accordi di libero scambio siglati da Londra con quei paesi”, continua Ottaviano, “ma questo è stato vissuto dalla Gran Bretagna come una violazione della propria unità nazionale”.

Sunday bloody Sunday
La complessità della questione commerciale affonda dunque le sue radici nella storia. “Secondo gli accordi di pace del 1998, il Governo di Belfast deve essere condiviso tra Sinn Fein (Cattolici) e Unionisti (Protestanti). Questi ultimi però hanno una posizione molto dura sul Protocollo e da maggio scorso si rifiutano di entrare nella coalizione di governo, creando così una situazione di stallo”, spiega Justin Frosini, direttore del Bachelor in Global Law della Bocconi. Lo spettro di un ritorno dei troubles degli anni Settanta e Ottanta aleggia ancora forte e ci vuole davvero poco per riaccendere la miccia. “Adesso, tutto dipenderà dalla posizione che deciderà di prendere il DUP, il maggiore partito Unionista irlandese. È chiaro che se dovesse dare un parere negativo sul Windsor Framework, la situazione di stallo resterebbe tale”. Inoltre, sul fronte politico non sono solo gli Unionisti l’incognita: “Ci sono anche gli ‘hard Brexiters’ di Boris Johnson, il quale ha già annunciato dubbi su questo accordo”.
Secondo Frosini, alla fine il Windsor Framework passerà lo scoglio del voto al Parlamento britannico: “I numeri ci sono perché sia la maggioranza del partito conservatore, sia i laburisti si sono espressi a favore dell’approvazione. Tuttavia, al di là dei numeri in Parlamento, se c’è una forte opposizione della minoranza euroscettica dei tories e il DUP rimane fermo nel non voler formare un governo a guida Sinn Fein in Irlanda del Nord, il problema rimane”.

Si scrive Brexit, si legge Bregret
Nel frattempo, politica a parte, nel Regno Unito il sentire comune sembra cambiato rispetto all’era Johnson. Tira aria di ‘Bregret’, rispetto al 2016, quando il referendum aveva consegnato ai Brexiters il 52% dei consensi rispetto al 48% di chi tifava Remain. A novembre 2022, un sondaggio di YouGov segnalava che tali percentuali si erano più che invertite (32% a 56%), mentre a gennaio 2023, a tre anni esatti dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, un opinion poll di UnHerd nei 650 collegi elettorali della nazione ha visto prevalere in 647 di questi l’idea che la Brexit sia stata un errore. “I sondaggi vanno letti con attenzione e da qui a dire che se oggi ci fosse un nuovo referendum vincerebbe chi vuole rientrare nell’Unione europea, ce ne passa. Detto questo, l’opinion poll sull’orientamento degli elettori nei singoli collegi elettorali ha decisamente impressionato l’opinione pubblica”, continua Justin Frosini.

I colpi all’economia
Al di là degli opinion poll, ci sono le evidenze dei dati. Ragionando sulla traiettoria degli investimenti dalla fase pre-Brexit, ad esempio, la Bank of England arriva a stimare un calo del pil del 2,8% al 2026, che raggiunge il 3,2% se si considera il livello degli scambi commerciali, “peraltro sostanzialmente in linea con le stime pre-Brexit”, sottolinea Gianmarco Ottaviano. Per parte sua, l’Office for Budget Responsibility, l'ente indipendente di previsione economica del governo, ha dichiarato che nel lungo periodo il pil sarà inferiore del 4% rispetto a quello che sarebbe stato se il Regno Unito fosse rimasto all'interno dell'UE. Una sciabolata che è diventata un vero colpo di mannaia, per esempio, per il mondo universitario: le iscrizioni dei giovani europei negli atenei anglosassoni sono crollate nel 2021/2022 da 66.680 a 31.400, mentre è di pochi giorni fa l’allarme lanciato dai due college di Oxford e Cambridge, che insieme raccoglievano 130 milioni di sterline l’anno in fondi europei: dal programma Horizon oggi riescono ad ottenere soltanto 2 milioni in due. Da questo punto di vista, però, il nuovo Windsor Framework ha riacceso le speranze di una maggiore collaborazione per l’accesso al programma da parte della Gran Bretagna, dopo l’out-out che, ad esempio, si erano visti lanciare 150 ricercatori vincitori di Grant con base in Uk nell’aprile 2022. Allora lo European Research Council era stato chiaro: spostatevi in Europa o perderete i vostri fondi, aveva avvertito.

Dentro o fuori?
Tuttavia, l’aria di Bregret non basta. E se anche diventasse un vento, la nave britannica dovrebbe affrontare altre acque agitate: “Tecnicamente, per l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea non ci sono impedimenti giuridici al rientro di uno stato che abbia deciso di uscirne”, spiega Paola Mariani. “Il problema, invece, è sostanziale: si tratterebbe di rientrare a condizioni molto diverse dal passato”. La Gran Bretagna è uscita dall’Unione da paese privilegiato, “la sua appartenenza all’Ue prevedeva diverse eccezioni a proprio vantaggio (una per tutte, l’aver potuto mantenere la propria moneta). Se adesso volesse tornare sui propri passi, sarebbe riammessa alle condizioni che valgono per gli altri paesi e questo sarebbe un duro colpo per l’orgoglio nazionale britannico”.
La via più probabile nel tempo, perciò, “sarà quella di una progressiva ridefinizione degli accordi, più che un rientro nell’Unione”. In questo senso, il Windsor Framework “rappresenta il recupero di un rapporto fiduciario tra le parti e l’avvio di una forma di cooperazione più avanzata, pur non essendo una reale modifica del Protocollo sull’Irlanda del Nord”. Questo è bene chiarirlo, continua Paola Mariani: “Per arrivare al Windsor Framework sono state utilizzati meccanismi di revisione previsti dal Withdrawal Agreement, che consentono di intervenire sui termini dell’accordo senza dover modificare il testo del trattato che necessita dell’approvazione formale delle parti contraenti”. Tuttavia, sebbene il sistema rimanga quello, con tutto ciò che ne consegue circa i possibili sviluppi futuri a livello politico, “con questi impegni aggiuntivi stabiliti dall’intesa, il sistema di scambi commerciali tra Regno Unito e Unione europea diventa più trasparente, perché, ad esempio, l’Ue avrà accesso in tempo reale al sistema informatico britannico che soprassiede ai controlli doganali”.

Insomma, anche se non a sciogliersi, forse con lo schema Windsor questo nodo gordiano figlio della Brexit potrebbe cominciare quantomeno ad allentarsi.

di Andrea Celauro

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