Dentro i segreti dei Fratelli Musulmani
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Dentro i segreti dei Fratelli Musulmani

SONO LA PIU' ANTICA E INFLUENTE ORGANIZZAZIONE DELL'ISLAMISMO EPPURE DI LORO IN OCCIDENTE SI CONOSCE MOLTO POCO. A QUESTA LACUNA PONE RIMEDIO IL LIBRO DI LORENZO VIDINO, CHE RACCONTA OLTRE 20 ANNI DI RICERCHE SULLA FRATELLANZA E RACCOGLIE LE PREZIOSE TESTIMONIANZE DI CHI NE E' STATO UN LEADER E OGGI NE E' USCITO. UNA LETTURA NECESSARIA PER CAPIRE DI PIU' I MOVIMENTI ISLAMICI RADICALI MA, CON ESSI, LE GRANDI SFIDE CHE ATTENDONO LE DEMOCRAZIE LIBERAL

Per buona parte dell’opinione pubblica la consapevolezza della presenza di gruppi islamisti radicalizzati in Occidente si concretizza con drammaticità solo con l’11 settembre 2001. Non sorprende dunque che anche Lorenzo Vidino, oggi tra i maggiori esperti di islamismo in Europa e Nord America e direttore del Programma sull’estremismo della George Washington University, riparta proprio da quel giorno per introdurre il lungo saggio Islamisti d’Occidente. Storie di Fratelli musulmani in Europa e in America (Egea) nel quale sono condensati oltre vent’anni di studio sulla mobilitazione delle reti jihadiste in Occidente, le politiche di contrasto alla radicalizzazione attuate dai diversi governi ma soprattutto sulle dinamiche che alimentano e sostengono il movimento dei Fratelli musulmani.

Perché la data dell’11 settembre è importante anche per il suo personale rapporto con l’islamismo?
Innanzitutto perché sono cresciuto a Milano, non lontano dalla moschea di viale Jenner, e alcuni ragazzi della comunità islamica erano i miei compagni nelle partite di pallone. Dunque quando accaddero i fatti dell’11 settembre fui emotivamente molto coinvolto. Ma anche perché quel fatto cambiò il mio indirizzo professionale. All’epoca stavo finendo la mia tesi in Diritto pubblico comparato e avevo in tasca un biglietto per gli Usa dove avrei continuato i miei studi in Giurisprudenza, ma quando arrivai negli States trovai lavoro in un piccolo centro studi che si occupava di islamismo e decisi di lasciare legge per prepararmi alle selezioni di un master in sicurezza e relazioni internazionali che poi divenne un dottorato e da lì in poi questo è rimasto il mio interesse principale.

Questo volume, però, non parla di Jihad o di Al-Qaeda, ma dei Fratelli Musulmani. Perché, tra le tante che animano il mondo dell’islamismo militante e radicale, questa è così importante?
I Fratelli Musulmani sono il più antico e influente movimento islamista del mondo e dunque un tassello fondamentale per capire l’Islam anche in Europa e in Occidente. Nonostante i numeri ridotti dei loro militanti- in molti paesi parliamo di poche centinaia di persone – essi giocano un ruolo molto importante nel plasmare le comunità musulmane di ogni paese occidentale e nel gestire i rapporti tra queste e i vari governi occupando molte delle posizioni cardine. Sono loro che, per esempio, in Italia si siedono ai tavoli con il ministro degli Interni per firmare un’intesa o ai quali viene concesso il contratto per entrare nelle carceri a svolgere il ruolo di mediatori culturali. Non si può parlare di Jihad o di Islam radicale senza partire dai Fratelli.

Eppure sui media se ne discute pochissimo.
Nei paesi del medioriente c’è molta letteratura critica e storica sull’argomento, ma in Occidente in effetti non è così. Una volta chiesi a un alto funzionario britannico perché il suo governo nel 2014 mi avesse scelto per far parte della Commissione di studio sulla Fratellanza. Mi disse: «Di esperti sulla Fratellanza in Egitto ce ne sono almeno quaranta, in Giordania una dozzina, in Siria altrettanto. Ma che la studino in Occidente, in pratica, ci sei solo tu». Sui media di qualche paese, come la Francia, si legge qualche articolo ma soprattutto dal punto di vista politico è una materia scivolosa e sulla quale pochi si avventurano. Mentre infatti l’opinione sui Jihadisti è univoca e non si presta a interpretazioni, con i Fratelli si entra in un ambito più opaco, dove i segreti offuscano la verità, dove fatti e opinioni si mescolano e tutto è più difficile da provare.

Per entrare in queste dinamiche lei ha scelto la strada del racconto delle testimonianze di alcune persone che nei Fratelli hanno avuto ruoli di primo piano e che poi hanno deciso di uscire dall’organizzazione. Com’è stato l’incontro con questi esuli dal movimento?
Alcuni li conoscevo già da prima di iniziare a scrivere il libro, come Kamal Helbawy che ho avuto modo di incontrare nel 2005 quando era uno dei leader dei Fratelli, con altri invece ho dovuto crearmi l’occasione per un primo approccio ma ora alcuni di essi credo di poterli considerare miei amici. La difficoltà nell’ascoltare i loro racconti è stato proprio mantenere la consapevolezza del ricercatore, ovvero filtrare la loro testimonianza e fare i conti con il loro desiderio, inconscio o meno, di rendermi portavoce di un’istanza o di una visione personale. Questo è anche il motivo per il quale le storie non sono riportate in prima persona ma sono introdotte e riassunte sempre da me.

Da queste storie emerge che la crescita del movimento in Occidente è stata molto rapida negli ultimi decenni. Quali sono i fattori che l’hanno favorita?
Il movimento in Occidente è stato alimentato senza soluzione di continuità dai Fratelli che non hanno mai smesso di emigrare dai propri paesi d’origine. A questo si aggiunge il fattore economico che è stato determinante. L’organizzazione ha sempre avuto importanti finanziamenti dai paesi del golfo arabo e, dopo la Primavera araba, dal Qatar, un supporto che le ha consentito di costruire moschee e centri islamici ovunque; per fare un esempio italiano, all’UCOII sono arrivati circa 25/30 milioni, una cifra imparagonabile con quella a disposizione di altri gruppi islamici. Infine, per la crescita dei Fratelli, ha contato molto anche l’ingenuità dei governi occidentali che, nel desiderio di trovare un interlocutore nelle comunità islamiche e nella difficoltà di capire un mondo così complesso, hanno spesso investito di questo ruolo chi si presentava come tale, chi aveva ruoli più rilevanti nella società, confondendo questa visibilità con la reale rappresentatività.

Non sarebbe dunque ora per la Fratellanza di uscire allo scoperto, di imporsi nel dibattito pubblico come un soggetto politico invece che mantenere questa impostazione da setta segreta?
Questa è la stessa contestazione che ha portato le persone che ho intervistato nel libro a uscire dall’organizzazione. Molti di loro contestano proprio questa impostazione oscura, che nel mondo arabo ha una sua ragione ma che in Occidente induce sospetti e si rivela controproducente soprattutto nel momento in cui si portano avanti obiettivi legittimi come il riconoscimento di alcuni diritti. A questo dibattito, interno alla Fratellanza, corrisponde quello in atto in seno ai maggiori governi europei, Italia esclusa, sul comportamento da adottare nei confronti di un’organizzazione di cui si intuisce la pericolosità ma che agisce per la maggior parte entro i limiti della legge e dunque non viene trattata come un’organizzazione terroristica. Su questo inoltre c’è una differenza netta tra quanto accade sulle due sponde dell’Atlantico. Mentre in Europa, infatti, ci si preoccupa molto dell’impatto della Fratellanza sulla coesione sociale, nella cultura americana è accettato naturalmente che certe etnie possano e vogliano vivere da separati in casa, mantenendo abitudini e tradizioni; questioni che sono da prima pagina in Francia come la questione del velo, dell’ora riservata alle donne musulmane nelle piscine o la costruzione di una moschea, in America non sono capite perché sono date per scontate.

Il fatto di conoscere così poco una realtà così importante dell’islamismo d’Occidente ci deve spaventare?
No, ma preoccupare sì perché credo che, in ogni ambito, per agire con efficacia occorra prima di tutto conoscere la realtà nella quale ci si muove. E invece vedo che purtroppo molti attori importanti dello scenario internazionale, agenzie di intelligence, ministri, prendono decisioni importanti senza le conoscenze adeguate. Questo non lascia tranquilli perché, comunque si evolverà nel tempo, la Fratellanza rimarrà a lungo un protagonista fondamentale del futuro dell’Islam in Occidente.

di Emanuele Elli

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