Un approccio multidisciplinare e' la chiave per liberare l'intelligenza artificiale
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Un approccio multidisciplinare e' la chiave per liberare l'intelligenza artificiale

L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE PUO' DIVENTARE UN UTILE STRUMENTO PER SUPPORTARE L'ATTIVITA' UMANA. PERCHE' SI SVILUPPI ULTERIORMENTE OCCORRE CHE LE DIVERSE BRANCHE DELLA SCIENZA LAVORINO INSIEME

Per molti il 2012 è solo l’anno in cui il mondo non è finito, malgrado le profezie dei Maya. Qualcuno ricorderà anche la prima osservazione del bosone di Higgs al Cern di Ginevra o Felix Baumgarten, l’austriaco che si è lanciato in caduta libera da 39.000 metri di altezza, diventando il primo uomo a superare il muro del suono. Restano invece scarse tracce del punto di svolta che ha avviato la rivoluzione, dapprima silenziosa e poi sempre più fragorosa, dell’intelligenza artificiale. «Nel 2012», spiega Riccardo Zecchina, fisico teorico, direttore del nuovo Bachelor of Science in Mathematical and Computing Sciences for Artificial Intelligence della Bocconi, «una rete neurale ha drasticamente migliorato l’accuratezza con cui una macchina è in grado di riconoscere un oggetto all’interno di un’immagine densa di oggetti, nel Large Scale Visual Recognition Challenge di ImageNet».
 
Sembra il gioco del Corvo parlante della Settimana Enigmistica. È davvero un risultato così degno di nota?
Assolutamente sì. Semplificando, si può dire che nell’intelligenza artificiale ci sono due impostazioni. Da un lato c’è  quella classica, oggi chiamata Artificial General Intelligence, che risale agli anni ’60 e si rifà alla programmazione logica e ai metodi deduttivi. Dall’altro c’è il machine learning, che utilizza metodi di apprendimento automatico a partire direttamente dai dati. Nel 2012 i risultati algoritmici su ImageNet sembravano avere raggiunto un plafond, e nell’esercizio di riconoscimento il tasso di errore si era assestato al 26%, rispetto al 5% medio degli esseri umani. A questo punto è entrata prepotentemente in scena il machine learning (in particolare il cosiddetto Deep Learning che fa uso di reti neurali artificiali) ovvero la Data-Driven AI. Impiegando la nuova impostazione, da un giorno all’altro (anche se la costruzione della rete neurale era stata lunga e impegnativa) il tasso di errore precipitò al 16%. Un fatto totalmente imprevisto. Stiamo parlando davvero dell’altro ieri, ma è allora che il mondo si è accorto dell’intelligenza artificiale. Sono seguite miriadi di applicazioni e, nel frattempo, il tasso di errore in quel particolare esercizio è sceso al 2%. Le macchine ora sono più accurate dell’uomo in alcuni specifici esercizi di riconoscimento visivo, e possono svolgerli  a una velocità incomparabilmente superiore.
 
Ma che cosa è in grado di fare il machine learning?
Il machine learning comprende molti metodi diversi, che vengono utilizzati a seconda delle situazioni. Tutti estraggono informazioni dai dati. Nel caso di ImageNet, e più in generale dei progressi più recenti, il metodo che ha prodotto i risultati più innovativi e sorprendenti è stato il Deep Learning, che si basa su modelli di reti neurali e che ricorda, in modo molto stilizzato, il funzionamento del sistema visivo umano. Si crea una rete di nodi capaci di elaborare informazioni, disposti su numerosi strati e con numerosi legami con gli altri nodi e la si “addestra” con un processo di apprendimento iterativo: se sottopongo al sistema l’immagine di un gatto ed esso non lo riconosce, modifico la conformazione della rete fino a quando non lo fa e poi sottopongo un’altra immagine, e così via. È una logica molto diversa da quella dell’intelligenza artificiale tradizionale, e infatti si è sviluppata in laboratori isolati dal mainstream, coinvolgendo diverse discipline, perché pone problemi concettuali, di ottimizzazione e modellizzazione di natura multidisciplinare.
 
È chiaro a tutti come l’intelligenza artificiale impatti sulla tecnologia, ma perché la rivoluzione coinvolge anche le scienze sociali?
L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo di operare di tutte le scienze, naturali o sociali che siano, dove si devono elaborare dati. Intanto, ha reso possibili operazioni che prima non ci saremmo neanche sognati, come la speech recognition, una traduzione automatica di livello accettabile, la modellizzazione per il climate change o i programmi che descrivono ai non vedenti il contenuto di un’immagine. In altri casi, come quello dei motori di ricerca su internet o nell’Internet of Things, l’intelligenza artificiale ha drasticamente migliorato i risultati. Nel management, le aziende chiedono di utilizzare i dati per migliorare i loro processi. Nel campo della salute, il machine learning consente di implementare diagnosi automatizzate su larga scala e di intervenire nella medicina personalizzata. La finanza è anche fortemente orientata ai metodi quantitativi. In generale, il machine learning può diventare uno strumento estremamente utile per il monitoraggio e l’ottimizzazione di tutti quei processi di sviluppo che devono diventare compatibili con i cambiamenti climatici.
 
Il concetto stesso di intelligenza artificiale solleva anche qualche inquietudine. Ce n’è motivo?
Per non passare dalla scienza alla fiction deve essere chiara una cosa: l’intelligenza artificiale non si sostituisce alla nostra capacità di prendere decisioni. Estrae informazioni, costruisce modelli, è un supporto in più, come un co-processore, ma a decidere dovremo continuare ad essere noi. Quello che ci aspetta nei prossimi anni non è la singolarità, la presa di potere da parte dell’intelligenza artificiale, ma una serie di decisioni impegnative che stabiliscano se vogliamo modificare alcuni sistemi sociali e politici per essere in condizione di sfruttare le potenzialità dei nuovi strumenti. Screening di massa sempre più accurati, per fare un esempio, saranno possibili solo se il sistema sanitario vorrà raccogliere e mettere a disposizione grandi quantità di dati standardizzati. La vera sfida è convincere gli attori a cooperare.
 
E le sfide scientifiche?
In primis si deve arrivare ad una comprensione rigorosa del funzionamento dei metodi più moderni, come il machine learning. Le applicazioni stanno anticipando la comprensione teorica e c’è molto lavoro da fare.
Poi non mancano i problemi aperti.  Il primo è il passaggio dal riconoscimento supervisionato a quello non supervisionato. Nel caso del Large Scale Visual Recognition Challenge, il riconoscimento è supervisionato perché gli oggetto sono stati classificati dall’uomo prima di chiederne il riconoscimento alla macchina, ma la stragrande maggioranza dei dati non è supervisionata. Si potrà parlare di self-supervised learning quando le macchine potranno inferire un modello dai dati, agire in base al modello e analizzare le risposte dell’ambiente alle loro azioni, modificando il modello se queste non corrispondono alle attese. Il secondo problema costituisce un po’ il Sacro Graal della ricerca nel machine learning: insegnare alle macchine a inferire dai dati i pattern di causazione. In generale, il machine learning sta diventando uno strumento utilizzato un po’ in tutte le discipline scientifiche, incluse quelle sociali. Le sue applicazioni sono ad ampio spettro e credo che contribuiranno in modo significativo al progresso scientifico nei prossimi anni. Lo sviluppo dell’IA e delle sue applicazioni richiederà una collaborazione multidisciplinare senza precedenti nella scienza, a 360 gradi.

Per approfondire:
Con una nuova laurea triennale, la Bocconi insegna i metodi per l'intelligenza artificiale

 
 

di Fabio Todesco

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