L'Italia, una violatrice seriale
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L'Italia, una violatrice seriale

LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO HA IN PIU' OCCASIONI CONDANNATO LA CONDOTTA DEL NOSTRO PAESE, CONSIDERATA TROPPO BLANDA NEL PERSEGUIRE I REATI LEGATI ALLA VIOLENZA SULLE DONNE E IN FAMIGLIA

di Paola Mariani, Dipartimento di studi giuridici

L'omicidio di donne e minori in contesti familiari per mano di compagni/padri è un fenomeno così diffuso e tollerato in Italia da rendere il nostro Stato un violatore (seriale) del diritto alla vita, il più fondamentale dei diritti fondamentali della persona. Tale affermazione non è il risultato di un’indagine di attivisti per i diritti umani, ma è contenuta nelle ormai ricorrenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che condannano l’Italia per violazione dell’art. 2 della Convenzione europea dei diritti.
 
In base al diritto internazionale lo Stato è obbligato a proteggere tutta la popolazione sottoposta alla sua giurisdizione dalle violazioni dei diritti fondamentali, da chiunque siano commesse. Lo Stato ha quindi il dovere di garantire protezione alle persone che denunciano violenze e soprusi domestici per impedire che la loro vita sia messa in pericolo. Come è stato ribadito nel recente caso Landi, l’Italia è stata condannata per l’omissione da parte delle autorità nazionali dell’obbligo positivo derivante dall’articolo 2 della Convenzione per non aver adottato le misure di protezione e assistenza dovute, in seguito alle denunce di violenze della donna nei confronti del compagno.
 
Purtroppo, come spesso accade in Italia, le denunce di violenza e maltrattamenti in famiglia vengono sottovalutati dalle autorità e in questo caso il tagico epilogo è stata la morte del figlio di appena un anno per mano del padre. In particolare, sono stati i pubblici ministeri a rimanere passivi di fronte ai maltrattamenti inflitti alla donna omettendo di svolgere, dopo plurime denunce, un’indagine efficace che di fatto ha lasciato libero l’uomo di continuare a minacciare, molestare e aggredire la donna fino ad ucciderne il figlio.
 
La Corte ha accertato che nonostante le precedenti condanne, lo Stato continua a considerare i crimini commessi in famiglia una categoria di reati non degni della stessa persecuzione degli altri crimini; a ciò si aggiunga che la sottovalutazione del rischio, questa volta, è imputabile alla magistratura e non solo alle forze dell’ordine. Ciò risulta ancora più grave se si considera che i magistrati dovrebbero avere tutti gli strumenti culturali e tecnici per condurre un’efficace valutazione del rischio ed intervenire con gli strumenti preventivi presenti nel nostro ordinamento. Ed infatti, per ora la Corte non ha ritenuto di attribuire al nostro paese anche “l’aggravante” della discriminazione in base al genere, poiché gli strumenti legislativi per garantire la protezione esistono, ma non vengono applicati.
 
La gravità della condotta dello Stato italiano incapace di far fronte all’obbligo di protezione nei confronti delle donne vittime di abusi in famiglia è tale che la Corte, per la prima volta nel caso Landi, ammette un’eccezione al principio dell’esaurimento dei ricorsi interni consentendo alle vittime di violenza familiare il ricorso diretto alla Corte. La speranza è che questo possa ridurre i casi in cui la violenza sfoci nell’omicidio.
 
Purtroppo, la sottovalutazione del fenomeno criminale e la grave inadeguatezza culturale delle Istituzioni italiane è dimostrata anche dal disinteresse mostrato di fronte a sentenze di condanna internazionali. L’Italia, infatti, dal 2017 è stata posta sotto sorveglianza rafforzata, con l’avvio della procedura di esecuzione davanti al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, a seguito caso Talpis. Un altro caso in cui l’Italia era stata condannata per l’inadeguatezza delle autorità nell’impedire ad un uomo di uccidere il figlio, intervenuto a difendere la madre vittima di abusi. Nei casi di sorveglianza rafforzata lo Stato è tenuto sotto stretta osservazione affinché violazioni come quelle accertate non si ripetano. L’Italia che avrebbe dovuto fornire informazioni sull’attuazione della sentenza di condanna entro il 31 maggio 2021 non risulta abbia assolto a tale obbligo.
 
L’allarme internazionale dovrebbe essere preso maggiormente sul serio e se la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, presentata lo scorso 8 marzo 2022, verrà approvata, l’Italia dovrà rispondere non solo al Consiglio d’Europa ma anche all’Unione europea. Ma non è sufficiente leggere le cronache quotidiane di violenza e morti in famiglia perché si inneschi un cambiamento a livello culturale e giuridico degno di uno Stato di diritto? Sarebbe bello che il sovranismo così diffuso nel nostro Paese faccia fare uno scatto di orgoglio e si inneschi un cambiamento prima di altre prevedibili condanne internazionali.

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