Cosi' un figlio taglia lo stipendio della mamma
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Cosi' un figlio taglia lo stipendio della mamma

IL FENOMENO E' NOTO CON LA DEFINIZIONE DI CHILD PENALITY CHE QUANTIFICATO SIGNIFICA CHE LE MADRI PAGANO UNA PENALITA' DI LUNGO PERIODO (A 15 ANNI DALLA NASCITA) SUPERIORE AL 20% IN TERMINI DI MINORI REDDITI DA LAVORO RISPETTO AI PADRI IN SEGUITO ALLA NASCITA DI UN FIGLIO. ECCO LO STUDIO SUL CASO ITALIA

di Alessandra Casarico, associato presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche

La nascita di un figlio rappresenta un punto di svolta nelle carriere lavorative delle donne ed è tuttora uno dei principali fattori che contribuiscono alla presenza di divari occupazionali e retributivi di genere. Per indicare il costo sul mercato del lavoro della nascita di un figlio si utilizza spesso il termine child penalty. Misura la perdita in termini di reddito di lavoro che le madri subiscono in seguito alla nascita di un figlio, se confrontate con i padri, o con donne senza figli che ne condividono le caratteristiche per esempio in termini di età, competenze e salari. Anche nei paesi scandinavi, che di solito primeggiano nelle classifiche internazionali sulla parità di genere, le madri pagano una penalità di lungo periodo (a 15 anni dalla nascita) superiore al 20% in termini di minori redditi da lavoro rispetto ai padri in seguito alla nascita di un figlio. In Austria, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Spagna la perdita è ancora maggiore.
 
L’Italia non fa eccezione. In un lavoro di ricerca con Salvatore Lattanzio abbiamo ottenuto una stima della child penalty a 15 anni dalla nascita di un figlio per il nostro paese sulla base di un campione di dati Inps sui lavoratori dipendenti del settore privato tra il 1985 e il 2018. Per individuare la nascita di un figlio, abbiamo identificato tutti gli episodi di congedo di maternità delle lavoratrici e abbiamo stimato le traiettorie dei salari annuali delle mamme nei cinque anni antecedenti e nei quindici successivi all’anno del primo congedo. Per capire l’impatto della maternità, le confrontiamo con le traiettorie dei salari delle lavoratrici che non hanno avuto figli e che sono comparabili.
 
Ciò che troviamo è che a 15 anni dalla nascita i salari annuali delle mamme crescono del 57% in meno rispetto a quelli delle donne senza figli. Il crollo è molto forte nell’immediatezza della nascita, ma il divario che si è creato non si chiude. È maggiore per lavoratrici che prendono congedi di lunga durata, che hanno bassi salari e che hanno meno di 30 anni al momento della maternità.
 
Perché dopo la maternità i redditi delle lavoratrici non sono più allineati con quelli delle non-mamme? Il risultato potrebbe dipendere da un cambio nelle ore o settimane lavorate, oppure – a parità di offerta di lavoro – da minori salari settimanali: le mamme potrebbero spostarsi in imprese che pagano meno, magari in cambio di maggiore flessibilità o vicinanza casa-lavoro, o in alternativa occupare posizioni professionali meno remunerative all’interno della stessa impresa. Dalla nostra analisi emerge che il 68% della child penalty è riconducibile a un minor numero di settimane lavorate in un anno. Il 20% è spiegato dal passaggio al part-time, mentre il 12% è riconducibile a minori salari settimanali tempo pieno equivalenti. È dunque la riduzione dell’offerta di lavoro delle mamme a contribuire in larga parte alla penalità nei redditi annuali. Una penalità che non considera l’uscita delle madri dal mercato del lavoro: la misura complessiva di quanto la maternità influenzi il lavoro delle donne dovrebbe anche prendere in considerazione che le donne con figli hanno dei tassi di uscita dal mercato del lavoro di 12 punti percentuali superiori alle non-mamme dopo 15 anni.
 
La “penalità” nei redditi da lavoro legata alla nascita di un figlio coglie più aspetti. Può riflettere le preferenze delle mamme che desiderano trascorrere del tempo con i figli e quindi riducono il tempo dedicato al lavoro. Può catturare le difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia che l’assenza di servizi di cura e asili nido, oppure la scarsa condivisione all’interno delle famiglie, possono rendere insormontabili. Troviamo infatti che la dimensione della penalità è maggiore nelle regioni in cui la disponibilità di servizi di cura è minore. Può cogliere stereotipi e norme sociali che vogliono le mamme come principali o esclusive responsabili della cura dei figli. La perdita reddituale rispetto alle non-mamme, così come le transizioni verso il non-lavoro, sono maggiori nelle aree del paese in cui prevale una cultura di genere più conservatrice. Può, da ultimo, dipendere da caratteristiche delle imprese nelle quali le mamme lavorano: le donne sono concentrate infatti in imprese che pagano mediamente meno tutti i lavoratori.

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