C'e' distanza tra numero di risorse e risultati
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C'e' distanza tra numero di risorse e risultati

UNO STUDIO DIMOSTRA CHE LE SOCIETA' DI RISPARMIO GESTITO CON PIU' DIPENDENTI NON HANNO MIGLIORI PERFORMANCE MA SOLO MAGGIORE CAPACITA' DI PROCURARSI CLIENTI E CAPITALI

di Alberto Manconi, assistant professor presso il Dipartimento di finanza

Negli ultimi decenni si è assistito a un progressivo spostamento da una partecipazione diretta nei mercati finanziari da parte di un numero relativamente ridotto di investitori individuali, verso una più diffusa esposizione ai mercati, tramite società di risparmio gestito. I risparmiatori affidano il loro capitale a manager professionisti, che si prendono cura di investirlo sul mercato finanziario. Per avere un’idea dell’entità del fenomeno, negli Stati Uniti gli investitori istituzionali controllano approssimativamente il 70% del mercato azionario; tra questi, i fondi comuni detengono un terzo della capitalizzazione del mercato.
Queste società di gestione del risparmio impiegano nell’aggregato diverse centinaia di migliaia di persone, in ruoli di analisi, ricerca e management del portafoglio. Nonostante tale vasto spiegamento di risorse umane, una consolidata letteratura in ambito accademico e la vulgata tra gli operatori del settore suggeriscono che gli investimenti del fondo medio hanno una performance, al netto delle commissioni, significativamente peggiore rispetto a quella di benchmark passivi, cioè di portafogli che possono essere riprodotti in maniera pressoché meccanica. Perché, dunque, impiegare un così grande numero di dipendenti?
Questa domanda è alla base di uno studio al quale ho di recente lavorato insieme con Lenny Kostovetsky, della Carroll School of Management al Boston College. Basandoci su un campione di più di 10.000 Ria, Registered investment advisors (società di risparmio gestito statunitensi), abbiamo analizzato quali clientele, classi di investimento e strategie richiedano più capitale umano, nonché il valore aggiunto del capitale umano stesso nella gestione degli investimenti.

I nostri risultati indicano che un maggior numero di dipendenti non sembra essere associato con una migliore performance, a parità di dimensione del portafoglio di investimenti gestito dalla società. Per contro, un più alto numero di dipendenti appare attrarre verso i Ria flussi di investimento più elevati. Il maggior volume di affari giustificherebbe dunque i più alti costi (per esempio in termini di salari) sostenuti dai Ria. La nostra analisi suggerisce inoltre che Ria con più dipendenti tendono a esibire un comportamento da closet indexer: i loro portafogli di investimenti si mantengono cioè assai vicini alla composizione di benchmark passivi, nonostante i Ria dichiarino di seguire strategie di investimento attive.

In altre parole: uno staff più numeroso non garantisce investimenti più redditizi, anzi spesso risulta in strategie di investimento che un risparmiatore potrebbe riprodurre autonomamente con costi limitati, per esempio acquistando fondi Etf.
Questo suggerisce che alcune società di gestione del risparmio siano consce della loro abilità (o dei loro limiti) nella generazione di rendimenti (il cosiddetto alfa), e scelgano dunque di orientare i loro sforzi verso l’attrazione di clienti, piuttosto che verso la definizione di strategie di investimento originali. Dal punto di vista degli azionisti della società di gestione del risparmio, questo non è un male: vengono comunque generati dei profitti. Dal punto di vista dei risparmiatori si pone invece quello che gli economisti chiamano un problema di agenzia, legato al possibile conflitto d’interessi con manager che, pur dichiarando una gestione degli investimenti attiva (e dunque con commissioni più elevate), di fatto seguono una strategia passiva.
 

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