L'occupational downgrading mette a rischio la salute mentale
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L'occupational downgrading mette a rischio la salute mentale

GLI IMMIGRATI TENDONO A ESSERE IMPIEGATI IN OCCUPAZIONI POCO QUALIFICATE E AD ALTO RISCHIO. NE RISULTA UNA SOVRAQUALIFICAZIONE CHE AUMENTA IL RISCHIO DI PRESENTARE DISTURBI PSICOLOGICI, COME MOSTRA UNO STUDIO

di Carlo Devillanova, associato presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche

Uno dei pilastri dichiarati della politica comune dell'UE in materia di migrazione dovrebbe essere la capacità di attirare talenti e competenze, in grado di contribuire al dinamismo delle nostre economie. Al momento, questo obiettivo contrasta chiaramente con le difficoltà di integrazione nel mercato del lavoro che i lavoratori stranieri sperimentano, pur con importanti differenze fra paesi. Un’ampia evidenza empirica dimostra, infatti, come gli immigrati tendano ad essere impiegati in occupazioni precarie e poco qualificate, spesso in settori scarsamente regolamentati e in mansioni ad alto rischio (3-D jobs — dirty, dangerous, and demanding, nelle parole di Moyce e Schenker, 2018). Un secondo aspetto degno di nota è che questo fenomeno non dipende dai bassi livelli di competenze dei lavoratori immigrati. Infatti, i dati indicano come molti di loro subiscano una significativa dequalificazione occupazionale nel paese di destinazione, rispetto al lavoro che svolgevano nel paese di origine (occupational downgrading), che risulta in un elevato tasso di sovra-qualificazione, in termini di istruzione e, più in generale, competenze. Il fenomeno è ancor più marcato per quegli immigrati che non possiedono i requisiti di legge per risiedere e/o lavorare in Europa e che, pertanto, non possono veder riconosciute le proprie qualifiche formali.
I costi economici diretti della mancata utilizzazione delle competenze della forza lavoro immigrata sono noti. La letteratura ha inoltre teorizzato come l’occupational downgrading possa comportare anche conseguenze negative in termini di benessere psicologico, che si sommano ai fattori di stress psicosomatico associati ai lavori 3-D e che rischiano di incidere sulle prospettive di integrazione futura nel mercato del lavoro e, più in generale, nel tessuto sociale del paese ospitante.

Da un punto di vista empirico, questi nessi sono stati ampiamente studiati per la popolazione nativa. Studi recenti mostrano infatti come la perdita di status occupazionale abbia un impatto causale sulla salute mentale dei lavoratori in generale, un risultato che sembra ragionevole estendere ai lavoratori immigrati. Tuttavia, per i lavoratori immigrati i dati sulle traiettorie occupazionali durante il percorso migratorio sono limitati e l’evidenza a disposizione si focalizza sulla correlazione fra disagio mentale e sovra-qualificazione occupazionale nel paese di destinazione, assumendo che quest’ultima sia causata dall’occupational downgrading all’arrivo nel paese di destinazione. Inoltre, non esistono studi sulla rilevanza del fenomeno per gli immigrati irregolarmente soggiornanti.
In un recente studio, con Anna Spada e Cristina Franco, abbiamo utilizzato il prezioso dataset del Naga, associazione di volontariato per l’assistenza socio-sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti (www.naga.it). Questi dati ci hanno consentito di costruire una misura esatta di occupational downgrading e di correlarla alla diagnosi medica alla visita. Inoltre, il campione ci consente di guardare ad immigrati privi di un regolare permesso di soggiorno. I risultati dimostrano che i lavoratori immigrati che sperimentano occupational downgrading hanno un rischio considerevolmente più elevato di presentare disturbi psicologici.

Quanto detto evidenza l’importanza di considerare l’impatto delle politiche migratorie nella loro globalità, comprese le politiche restrittive di ingresso e di integrazione nel mercato del lavoro, sulla salute dei migranti. In particolare, durante i periodi di irregolarità, che frequentemente caratterizzano i percorsi migratori, le barriere all’accesso al mercato del lavoro hanno conseguenze sul benessere psichico che si sommano a tutti gli altri fattori di stress cui questi individui sono costantemente sottoposti. Questi fattori rischiano di contribuire alla formazione di disuguaglianze sociali tra nativi e immigrati, oltre che ridurre il potenziale apporto di quest’ultimi al dinamismo delle nostre economie.

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