Perche' la contrattazione collettiva batte il salario minimo
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Perche' la contrattazione collettiva batte il salario minimo

ADOTTATO IN 21 PAESI DELL'UNIONE, IL SALARIO MINIMO E' AL CENTRO DEL DIBATTITO POLITICO TRA FAVOREVOLI E CONTRARI. MAURIZIO DEL CONTE SPIEGA IN QUESTA INTERVISTA PERCHE' NON E' LA SOLUZIONE. SOPRATTUTTO PER L'ITALIA

di Davide Ripamonti

Salario minimo, in tanti lo vogliono e l’Europa, con la direttiva del 22 settembre 2022, lo raccomanda agli Stati membri che ancora non l’abbiano adottato, tra i quali l’Italia (con Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia). Ma che cos’è, esattamente, il salario minimo e perché invece tanti sono contrari? Lo spiega in questa intervista Maurizio Del Conte, ordinario di diritto del lavoro all’Università Bocconi e presidente di Afol Metropolitana.

Che cosa si intende esattamente per salario minimo nell’accezione della direttiva approvata lo scorso settembre dal Parlamento europeo?
Il salario minimo è la soglia della retribuzione, fissata per legge, sotto la quale non si può andare. E’ generalmente determinato in misura uguale per tutte le categorie e non tiene quindi conto del “valore” di ogni singolo lavoro. Attiene più al concetto di salario di dignità e prevale sulla contrattazione, qualora questa preveda un salario inferiore. Dove è stato adottato corrisponde, generalmente, a circa la metà del salario mediano e va dai circa 6,7 euro/ora della Spagna, ai 12 della Germania fino ai 13 del Lussemburgo.

In Italia, dove almeno in teoria la contrattazione collettiva è estesa al 90% dei lavoratori, si è scelto di non adottare il salario minimo. Perché il salario minimo non è ritenuto una misura adeguata?
Il problema, in Italia, è soprattutto quello dei salari medi, che sono troppo bassi. Negli ultimi venti anni anni i salari in Germania sono saliti del 30%, in Francia del 20%, mentre da noi sono rimasti fermi. Paradossalmente il salario minimo rischierebbe di produrre una spinta verso il basso perché, se si assumesse l’ipotetico valore del 50% del salario medio di un impiegato (che da noi è all’incirca di 11 euro/ora), si avrebbe un salario minimo di 5 0 6 euro l’ora, che spiazzerebbe la contrattazione collettiva perché a quel punto le aziende potrebbero essere tentate di sganciarsi da essa (che, ricordiamolo, in Italia non è un obbligo) per adottare, appunto, il salario minimo. Se invece si stabilisse un valore più alto, poniamo 9 euro, si rischierebbe l’uscita dal mercato di quei settori che attualmente hanno paghe orarie più basse, magari però compensate da elementi accessori della retribuzione e da misure di welfare aziendale che alla fine producono comunque un salario mensile dignitoso. Inoltre, se le aziende si vedessero imporre un salario minimo ritenuto troppo alto, potrebbero decidere di tagliare su altro, come il welfare e altri benefici contrattuali. In ogni caso, va detto che la direttiva europea lascia ampi margini di adattamento rispetto alle specificità dei singoli stati.

Quali sarebbero quindi le misure più efficaci da adottare nel nostro paese?
Innanzitutto va combattuto il lavoro nero, da noi ancora troppo diffuso, ma un altro problema è rappresentato dai cosiddetti “contratti pirata”, cioè quelli stipulati da associazioni sindacali di comodo o comunque non rappresentative e che, ovviamente, sono molto sfavorevoli per i lavoratori. Bisogna estendere l’efficacia dei contratti collettivi siglati dai sindacati davvero rappresentativi e introdurre meccanismi affidabili di verifica della rappresentatività.

Il sindacato unitario è contrario al salario minimo. Perché? E, soprattutto, è così anche negli altri paesi?
In Italia l’adozione di un salario minimo toglierebbe spazio alla contrattazione collettiva e quindi al sindacato. Là dove, invece, e penso soprattutto a Francia e Germania, i salari sono più alti e la contrattazione collettiva deve essere adottata dalle aziende per legge, i sindacati si sono mostrati più favorevoli perché, di fatto, il loro ruolo rimane determinante. Per quanto riguarda la Germania, ricordo che i rappresentanti dei lavoratori delle grandi imprese hanno diritto a partecipare agli organi di governance.

Leggendo più approfonditamente la direttiva europea, però, si coglie anche il riferimento ai contratti collettivi. E’ questo il vero obiettivo?
Certamente. Il fine ultimo della direttiva è estendere la protezione dei contratti collettivi, tenendo conto, come detto prima, delle specificità di ogni singolo paese. Dunque per l’Italia l’obbiettivo dovrebbe essere quello di garantire una copertura contrattuale generalizzata, assicurandosi che si tratti di contratti collettivi stipulati da sindacati veramente rappresentativi. In questo modo non si deprimono i salari e non si mette a rischio l’articolato sistema di tutele contrattuali, che oggi assicurano anche nuove forme di welfare integrativo. Per far crescere i salari c’è bisogno di più contrattazione e di più partecipazione dei lavoratori, con l’obbiettivo di migliorare la produttività delle nostre imprese e aumentare il valore del lavoro.

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