La Fase 2 vale anche per le banche centrali
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La Fase 2 vale anche per le banche centrali

COME DA PIU' DI UN DECENNIO, ANCHE NEI PROSSIMI MESI FED E BCE DOVRANNO RICORRERE A UNA POLITICA MONETARIA NON CONVENZIONALE. E LA LORO INDIPENDENZA DOVRA' ESSERE DIFESA

di Donato Masciandaro, Intesa Sanpaolo chair in Economics of Financial Regulation, Universita' Bocconi

Anche le due più importanti banche centrali del mondo, la FED e la BCE, devono prepararsi alla Fase 2. Hanno una unica certezza: ancora per mesi a venire la condotta di politica monetaria dovrà utilizzare strumenti non convenzionali. Quali saranno allora i punti fermi?

In tempi normali - che oramai risalgono al 2008 - i punti fermi erano almeno quattro: la banca centrale deve essere indipendente; la stabilità monetaria deve essere un obiettivo rilevante; gli strumenti devono essere neutrali, nel senso di minimizzare gli effetti fiscali e bancari della politica monetaria; infine lo strumento unico della politica monetaria era la variazione dei tassi di interesse nominali a breve termine.

Lo strumento dei tassi di interesse massimizzava la neutralità della politica monetaria, perchè minimizzava i possibili effetti redistributivi, che passano attraverso tre possibili canali, che riguardano rispettivamente la redistribuzione tra cittadini, tra settori e tra generazioni. Quando cambiano i tassi di interesse nominali, i cittadini si possono dividere tra debitori e risparmiatori e una categoria è felice quando l’altra è triste. Ma sono due categorie da tempo oramai trasversali rispetto ai tradizionali comparti delle famiglie e delle imprese, quindi gli effetti distributivi sono stati tradizionalmente poco percepiti. Inoltre, in tempi normali, con un portafoglio della banca centrale relativamente ridotto, fatto di titoli pubblici a breve termine, anche gli effetti settoriali apparivano trascurabili. Infine, la ridotta inflazione minimizzava i trasferimenti intergenerazionali.

Dal 2008 in poi, le politiche monetarie della FED e della BCE sono diventate non convenzionali, sotto tre diversi aspetti.  In primo luogo, i tassi di interesse nominali a breve termine sono divenuti sempre più bassi, raggiungendo lo zero negli Stati Uniti ed andando in territorio negativo nell’Unione Europea. In secondo luogo, l’azione delle banche centrali di acquisto di attività finanziarie per iniettare liquidità nell’economia ed influenzare anche i tassi di interesse a lungo termine ha assunto caratteristiche straordinarie. Il tratto straordinario di tali interventi era duplice: la dimensione degli acquisti è cresciuta enormemente; la tipologia dei titoli acquistati è profondamente cambiata, comprendendo titoli pubblici e privati, a rischiosità crescente. Infine, le banche centrali hanno adottato la politica degli annunzi vincolanti, per provare ad influenzare anche i tassi di interesse futuri, attraverso il meccanismo delle aspettattive.

Il riflesso automatico dell’adozione massiccia di politiche non convenzionali è stato l’emergere esponenziale degli effetti redistributivi. Più aumentano gli effetti distributivi, più la politica in senso lato vuole – e aggiungiamo deve - occuparsi delle banche centrali. Poichè sia la politica della FED che quella della BCE continueranno ad essere non convenzionali, è nell’interesse dei cittadini americani ed europei che si tuteli l’efficacia della politica monetaria, rafforzando gli altri due presidi: l’indipendenza della banca centrale e la coerenza dell’obiettivo della politica monetaria.

L’indipendenza della banca centrale si basa sul presupposto che avere una moneta con un valore stabile è funzionale al benessere di lungo periodo dei cittadini e tale finalità può essere perseguita con successo solo affidandola ad una burocrazia indipendente. Quindi la difesa della indipendenza della banca centrale dalla ingerenza della politica e della finanza deve continuare. Piuttosto le due banche centrali dovranno interrogarsi sull’opportunità di mantenere l’identità tra stabilità monetaria e variazione puntuale dei prezzi al consumo.

Tale identità è rischiosa per una serie di ragioni, di cui ne ricordiamo almeno due. In primo luogo, un obiettivo è credibile se è raggiungibile. Se pensiamo che la variazione dei prezzi al consumo non dipenda solo dalla politica monetaria, allora sarebbe più prudente considerare tale variabile non un target, ma una bussola. In secondo luogo, un valore oggettivamente puntuale e asimmetrico, può essere più rischioso di definizioni basate su intervalli, o sul livello dei prezzi. Senza cambiare la definizione di stabilità monetaria, il lavoro della FED e della BCE nella Fase 2 sarà assai più delicato. Una spada di Damocle continuerà ad oscillare sulla testa dei banchieri centrali. Occorreranno scelte coraggiose. Speriamo che bastino.

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