Tanto rumore per nulla? Purtroppo no
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Tanto rumore per nulla? Purtroppo no

L'ITALIA, SNOBBATA IN UN PRIMO TEMPO PER LA PREOCCUPAZIONE RIGUARDO AL COVID19, ADESSO E' SEGUITA NELL'ADOZIONE DI MISURE DI CONTENIMENTO. I PAESI EUROPEI NON HANNO PERO' SCELTO UNA STRATEGIA COMUNE, ANCHE PER VIA DI SISTEMI GIURIDICI CHE REGOLANO DIVERSAMENTE LE EMERGENZE

di Arianna Vedaschi, professore ordinario di diritto pubblico comparato

Nell'affrontare l'attuale emergenza Coronavirus, l’impressione è di un’Europa che, a corto respiro, ha scelto uno schema a “geometria variabile” ma nel medio periodo seguirà, con effetto domino, l’esempio italiano, inizialmente ignorato o criticato.

Da una prospettiva comparata, nell’Europa occidentale sono almeno due i modelli giuridico-costituzionali dell’emergenza. Il primo, risalente alla tradizione liberale ottocentesca, si concretizza in un “non modello”, giacché fotografa i testi costituzionali che non disciplinano esplicitamente l’emergenza nazionale. Emblematico è l’esempio italiano: a parte l’art. 78 focalizzato sulla guerra, peraltro intesa in senso tradizionale, la nostra Costituzione non regola in modo sistematico le emergenze politiche non belliche (es. attacchi terroristici) né quelle tecniche o neutre (epidemie, calamità naturali, gravi crisi finanziarie ecc.), il che porta a ricondurre alla decretazione di urgenza (art. 77 Cost.) le situazioni che, nell’imporre di uscire dalla normalità istituzionale, incidono, in senso restrittivo, sul normale godimento dei diritti. Il secondo modello è, invece, caratterizzato dalla costituzionalizzazione delle discipline di eccezione e si articola in due varianti: quella c.d. a clausola generale à la française (art. 16) e quella razionalizzata, declinata in diversi regimi di crisi connessi a distinti presupposti fattuali. Quest’ultima propone l’approccio “ad intensità crescente” o quello “a livelli paralleli”, rispettivamente esemplificati dalla Costituzione tedesca (artt. 115, 80 e 35) e da quella spagnola (art. 116). In Spagna, accanto agli stati di excepción e sitio, in caso di gravi crisi sanitarie, come le epidemie, è previsto lo stato di alarma. E difatti, il 14 marzo il Presidente del Governo spagnolo, Pedro Sánchez, ha dichiarato lo stato di allarme in tutto il territorio nazionale e imposto misure restrittive tese al contenimento del contagio. Per 15 giorni i cittadini spagnoli possono circolare per le strade pubbliche solo nei casi indicati dal provvedimento (per l’acquisto di alimenti, farmaci e altri prodotti di prima necessità; per recarsi in ospedali o in altri centri sanitari; per andare al lavoro e rientrare a casa; per assistere minori, anziani, disabili o altre persone vulnerabili; per recarsi presso enti finanziari; per motivi di forza maggiore e situazioni di necessità o per altre ragioni di analoga natura, comunque debitamente giustificate). Come già in Italia, è stata disposta la chiusura di scuole e università, oltreché incentivato il lavoro da casa. Altri provvedimenti limitativi erano già stati presi dalle singole Comunità (ad esempio, la chiusura delle scuole era stata decretata dal Consiglio di Governo della Comunità Autonoma di Madrid dall’11 marzo).

In Francia, visto che la pandemia in corso non integra i presupposti fissati dall’art. 16 Cost., curvato – almeno sul piano fattuale – sulla destabilizzazione politica, i provvedimenti trovano il proprio fondamento legislativo nel Code de la Santé Publique (artt. 3131-1 ss.), che consente al Ministro della Salute di adottare con decreto le misure necessarie al contenimento del rischio da epidemia. Il 15 marzo Olivier Véran ha disposto la chiusura di bar, ristoranti, negozi e attività commerciali ritenute “non indispensabili” e vietato gli assembramenti, al chiuso o all’aperto, fino al 15 aprile, salvo casi eccezionali “indispensabili per la continuità della vita della Nazione” (la scorsa domenica, seppure con un tasso record di astensione, si sono svolte le elezioni amministrative). Già dal 13 marzo erano state disposte, sempre con decreto, le misure necessarie per l’approvvigionamento di materiale sanitario utile a contrastare il virus. Uno specifico piano di prevenzione per l’emergenza Coronavirus, basato sugli stessi livelli di allerta di quello elaborato nel 2011 per pandemia H1N1 (c.d. influenza suina), ha poi consentito alla Direzione generale della sanità di attivare il terzo livello di allerta, che prevede la gestione dell’epidemia ormai diffusasi nel territorio nazionale. Del resto, con un messaggio alla nazione il 12 marzo il Presidente francese Emmanuel Macron, dopo avere definito quella in atto la più grave emergenza sanitaria degli ultimi 100 anni, aveva comunicato la chiusura, “fino a nuovo ordine”, di scuole e università su tutto il territorio nazionale.

Neppure in Germania sono state attivate, a livello federale, le disposizioni emergenziali contenute in Costituzione. Anzi, per il momento, la libertà di circolazione dei cittadini all’interno del territorio nazionale non è stata limitata ai sensi dell’art. 11 Cost., che ne permette restrizioni, con legge, qualora necessario per combattere epidemie. La Cancelliera Angela Merkel, di concerto con i Ministri dell’Interno e della Sanità, oltreché con i governatori dei Länder interessati, ha disposto, a partire dal 16 marzo, la chiusura delle frontiere. Conformemente al riparto delle competenze e sotto il coordinamento del Ministero della Salute federale, le autorità dei singoli Länder hanno poi adottato specifici provvedimenti per la chiusura delle scuole. Tali misure si muovono sulla linea annunciata dalla stessa Merkel, che, nella conferenza stampa dell’11 marzo, ha indicato come prioritaria la preoccupazione del contagio rispetto a quella del bilancio.

Diverso l’approccio del Governo inglese. Nel suo discorso del 12 marzo, il Primo Ministro Boris Johnson, benché consapevole della serietà e dell’estensione del contagio tanto da informare i sudditi del Regno che “many more families are going to lose loved ones before their time”, ha comunicato che non verranno adottate misure restrittive delle libertà. Insomma, il Premier inglese raccoglie la sfida dell’esporre il paese al virus per arrivare alla c.d. immunità di gregge. Ad oggi, l’unica misura “di contenimento” che il Governo ha adottato è stata quella di rimandare di un anno le elezioni locali che avrebbero dovuto tenersi a maggio. Nonostante la presa di posizione del Governo Johnson, la Football Premier League ha volontariamente sospeso tutte le partite fino al 4 aprile; come pure rinviati dagli organizzatori risultano altri eventi sportivi, ad es. la maratona di Londra; diverse aziende stanno chiedendo ai propri dipendenti, in via precauzionale, di lavorare da casa. La Scozia – che, pur facendo parte del Regno Unito, ha un sistema sanitario separato – sta invece prendendo misure sulla linea di quelle adottate dagli altri paesi europei.

Un effetto domino nella considerazione del Covid-19, si diceva, che è partito dall'Italia e che inevitabilmente oltrepasserà l’oceano. Negli States, dopo avere minimizzato il pericolo sanitario per settimane, senza esitare a “gridare” alla fake news, venerdì 13 marzo il Presidente degli Stati Uniti ha finalmente dichiarato l’emergenza in tutto il territorio federale. Ricorrendo allo Stafford Act, Trump ha riconosciuto che la gravità della pandemia in atto va oltre la capacità di risposta dei singoli Stati dell’Unione e quindi impone l’intervento della Federazione, sia sul fronte sanitario che su quello finanziario. Trump ha parlato di 50 miliardi disponibili nell’immediato e gestiti dalla potente Federal Emergency Management Agency. Il Secretary of Health and Human Services potrebbe ampliare l’accesso alle cure ai sensi del art. 1135 del Social Security Act, facoltà che gli è concessa allorquando, come nel caso di specie, l’emergenza federale si aggiunge allo stato di allerta sanitario, dichiarato lo scorso 31 gennaio dallo stesso Secretary. Via questa già seguita nel 2009 dal Presidente Obama per contenere il virus H1N1.

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