Quando a comandare e' il socio di minoranza
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Quando a comandare e' il socio di minoranza

COSA CAMBIA CON L'AUMENTO DELLE CAMPAGNE ATTIVISTE DI HEDGE FUND, CON L'ACQUISTO DEL 10% DEL CAPITALE CON DIRITTO DI VOTO, E IL PASSAGGIO DA UN CONTROLLO DI DIRITTO A UNO DI FATTO

di Gaia Balp, associato presso il Dipartimento di studi giuridici

Il fenomeno delle campagne attiviste da parte di hedge fund è in forte crescita su entrambe le sponde dell’Atlantico. Si tratta di campagne in cui, con l’acquisto di una quota significativa in una società target (prossima al 10% del capitale con diritto di voto) i fondi avviano iniziative più o meno aggressive dirette, spesso anche facendo leva su seggi ottenuti nel consiglio di amministrazione, a realizzare rilevanti modifiche dell’assetto di governo, strategico o finanziario così da incrementare la quotazione delle azioni per poi disinvestire.
Sempre più spesso, poi, tali campagne si concludono con successo, nel senso dell’implementazione da parte dell’emittente delle proposte dell’attivista. Tra le ragioni del successo dell’attivismo degli hedge fund vi è certamente il notevole livello di sostegno che le proposte avanzate sono in grado di ottenere da co-azionisti, in particolare da investitori istituzionali non attivisti. Nella selezione delle target i fondi attivisti tendono perciò a concentrarsi su emittenti la cui base azionaria presenta una significativa presenza di investitori istituzionali.
Ciò non significa peraltro che l’attivismo dei fondi alternativi si focalizzi solo su società ad azionariato disperso: ne sono oggetto invece anche società quotate controllate. Tra i fattori che concorrono a rendere possibile questo risultato rileva certamente una regolamentazione di diritto societario che favorisce strumenti di tutela delle minoranze, come, in particolare, il diritto di nomina di amministratori cosìdetti di minoranza, garantito in Italia dal sistema del voto di lista e reso possibile in altri ordinamenti in forza di altri meccanismi. La potenziale aggregazione di un significativo potere di voto in appoggio ai candidati della minoranza in forza del prevedibile supporto di co-azionisti incoraggia il lancio di campagne attiviste anche in società controllate.
Proprio con riferimento a società quotate controllate è diffuso il convincimento che l’attivismo dei fondi hedge possa dispiegare un effetto di disciplina dei soci di controllo, attenuare il conflitto tra azionisti di maggioranza e di minoranza e favorire l’esercizio di un’attività di stewardship da parte degli investitori istituzionali non attivisti.

Questi potenziali benefici dell’attivismo in relazione a società controllate vanno però valutati in funzione di una necessaria e fondamentale distinzione tra situazioni di controllo cosìdette di diritto e di fatto. Come può suggerire anche un caso che nel 2018 ha visto un’importante società italiana oggetto di una campagna attivista di uno dei maggiori hedge fund statunitensi, quando il controllo si fonda non sulla maggioranza assoluta dei diritti di voto nell’assemblea (controllo di diritto) ma su una maggioranza solo relativa per quanto stabile (controllo di fatto), l’interrelazione tra circostanze fattuali e strumenti di legge può anche determinare il superamento del potere di voto dei soci di controllo e il passaggio della maggioranza dei seggi nel board da questi ultimi ai soci di minoranza, con conseguente cessazione del controllo nonostante l’assenza di ogni modifica negli assetti partecipativi e nei diritti di voto.
L’effetto potenzialmente più significativo, e probabilmente inatteso, è che la governance societaria potrebbe divenire meno efficiente di quella che di regola connota una situazione di controllo di fatto, in cui la presenza di un controllante con una maggiore esposizione all’andamento dell’attività sociale ne rafforza l’impegno nei confronti della società e nel perseguimento della visione imprenditoriale, a vantaggio di tutti gli azionisti. L’instabilità che appare insita in una situazione in cui l’ordinario rapporto maggioranza-minoranza appare rovesciato può incrementare la probabilità di conflitti all’interno del consiglio riguardo, soprattutto, all’orientamento strategico, senza assicurare il mantenimento del sostegno assembleare da parte degli investitori istituzionali tradizionali. D’altro canto, l’attivista potrebbe non essere in condizione di imporre al board la sua agenda se non correndo qualche rischio di essere, a sua volta, qualificato come controllante di fatto, con ciò che ne conseguirebbe in termini di aggravamento della disciplina ad esso applicabile e di impatto avverso, quindi, sul modello di business e di investimento tipico dei fondi hedge.

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