Lo stato di salute della sanita' italiana
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Lo stato di salute della sanita' italiana

QUARTA AL MONDO PER EFFICIENZA, RESTANO ALCUNE PRIORITA' ALL'ATTENZIONE DEI POLICY MAKER: TRASFERIMENTO DI CONOSCENZA AL SUD, RIMODULAZIONE DELL'OFFERTA CON UN RECUPERO DEL DECENTRAMENTO E RINNOVO DEL PERSONALE

di Francesco Longo e Alberto Ricci, rispettivamente associato di Analisi del settore sanitario e research teaching fellow del Cergas SDA Bocconi

In un periodo in cui, a torto o a ragione, il sistema Italia è un sorvegliato speciale da parte degli osservatori internazionali, il settore sanitario si conferma come un elemento di stabilità, in grado di ricevere apprezzamenti. A settembre, Bloomberg ha diffuso l’aggiornamento annuale dell’Health Efficiency Score, la classifica mondiale dei sistemi sanitari più efficienti: la sanità italiana è quarta e scala due posizioni rispetto all’anno precedente. Sul podio, Hong Kong, Singapore e Spagna. Il Ranking Bloomberg dei sistemi sanitari è basato su un indice composito che tiene conto di tre parametri: l’aspettativa di vita alla nascita, la spesa sanitaria pro-capite, la spesa sanitaria in percentuale rispetto al pil.
L’aspettativa di vita è effettivamente tra le prime al modo se consideriamo i paesi sviluppati. La classifica Bloomberg, che riporta dati 2015, indica 82,5 anni, un dato inferiore alla Spagna (82,8) ma superiore a Francia (82,3), Regno Unito (81), Germania (80,6) e Stati Uniti (78,7). Il parametro è cresciuto nel 2016 (82,8 anni) riflettendo la diminuzione delle morti per malattie non trasmissibili, calate del 26% in 15 anni.
Questi dati, tuttavia, vanno letti con attenzione rispetto a due temi. Il primo, è che i livelli di salute della popolazione non sono riducibili alla sola qualità del sistema sanitario.

Alcuni fattori di rischio epidemiologico, come l’obesità infantile, possono modificarsi generando un impatto sullo stato di salute differito nel tempo. Il secondo tema è l’annosa questione del divario esistente tra le regioni. La speranza di vita in buona salute al Nord è pari a 60,5 anni, al Sud 56,6: quasi quattro anni di differenza.
Con riferimento ai dati di spesa, l’Italia, al 2015, presenta livelli molto contenuti rispetto al panorama internazionale, sia a livello pro capite (2.700 dollari), sia come percentuale del pil (9%). Per confronto, la spesa pro capite è di 4.026 dollari in Francia e 4.952 dollari in Germania, rispettivamente l’11,1% e l’11,2% del pil. Inoltre, il trend di crescita della spesa sanitaria pubblica italiana, che corrisponde ai tre quarti del totale della spesa, è stato in media dello 0,8% annuo tra 2010 e 2017 (dati Rapporto Oasi): un tasso di crescita prossimo a quello del pil nominale (1%), comunque inferiore alla media annua dei tassi di inflazione (1,3%) e degli aumenti di altri comparti di spesa pubblica, come quella per le pensioni (1,4%) e per le prestazioni assistenziali (+5%). In definitiva, la spesa sanitaria non rappresenta ad oggi un pericolo per la sostenibilità delle finanze pubbliche. Questo non significa che nella sanità italiana non esistano più sacche di inefficienza. Piuttosto, sembra irrealistico ottenere ulteriori aumenti di funzionalità attraverso le classiche leve di spending review impostate a livello nazionale, senza allo stesso tempo diminuire i tassi di copertura del bisogno. Si tenga presente che, mentre la spesa sanitaria è lievemente diminuita al netto del tasso di inflazione, tra il 2010 e il 2017 il numero di persone over 65 è aumentato di 1,3 milioni (+10,8%). Già oggi, mentre il ricovero ospedaliero è nel 96% dei casi coperto dalle risorse pubbliche SSN, i ricoveri in strutture residenziali per anziani (le case di riposo) sono totalmente a carico delle famiglie nel 34% dei casi, con esborsi che si aggirano tra i 2.000 e i 3.000 euro mensili; negli altri casi, è comunque frequente una compartecipazione alle spese alberghiere di alcune centinaia di euro mensili.

In questo scenario, quali sono le priorità per i policymaker? È certamente necessario focalizzare gli sforzi di politica sanitaria sul trasferimento di conoscenze cliniche e manageriali nelle regioni del Sud. A livello nazionale, è positivo proseguire con le dinamiche di rimodulazione dell’offerta e ricerca dell’appropriatezza, ma adottando una logica maggiormente decentrata, in cui il management aziendale possa recuperare autonomia e spazio strategico. È bene reinvestire i risparmi ottenuti in questi anni, e potenzialmente ancora ottenibili, nell’introduzione di tecnologie più costo-efficaci; oltre a questo, rinnovare i ranghi del personale, ricercando il migliore mix di competenze in relazione al profilo epidemiologico della popolazione, sempre più caratterizzato da cronicità e disabilità.
Infine, a livello più ampio, sarebbe opportuno riflettere su come reperire le risorse e organizzare i servizi per impostare un sistema di presa in carico della non autosufficienza che, se non in grado di coprire interamente o parzialmente i costi, possa almeno offrire un valido orientamento al paziente e alla sua famiglia.
 

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