Perche' le democrazie devono continuare a dialogare con la comunita' internazionale
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Perche' le democrazie devono continuare a dialogare con la comunita' internazionale

A PARTIRE DALLA RIFORMA DEL SISTEMA DI DUBLINO, LE ISTITUZIONI EUROPEE DEVONO TORNARE PROTAGONISTE E RAMMENTARE AI NAZIONALISMI SOVRANISTI LA NON LEGITTIMITA' DELL'ESERCIZIO DI UN POTERE ISOLATO

di Graziella Romeo, assistant professor presso il Dipartimento di studi giuridici

Uno dei più appassionati dibattiti parlamentari degli ultimi mesi ha avuto a oggetto una vicenda apparentemente di poco momento, ossia la conversione in legge del brevissimo decreto, adottato all’inizio di luglio, con cui il governo italiano ha disposto la cessione di dodici motovedette a titolo gratuito alla guardia costiera libica. Il governo chiarisce, nella premessa sulla necessità e urgenza del provvedimento, che lo scopo è quello di incrementare la capacità operativa delle autorità libiche nelle attività di controllo delle frontiere, contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani.
La guardia costiera libica è guidata dal ministero degli Interni di concerto con il ministero della Difesa di un paese che versa in una condizione di gravissima instabilità politica, che non è firmatario della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e che non è formalmente vincolato, nell’impiego delle motovedette, dall’obbligo di rispettare le convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

Il decreto solleva dunque più di un dubbio di costituzionalità posto che la cessione a titolo gratuito di motovedette con il dichiarato intento di trasferire la protezione dei confini nazionali a un paese evidentemente non in grado di assicurare la tenuta degli obblighi internazionali sul rifugio politico e sulla condizione dei migranti costituisce una violazione dell’art. 11 della Costituzione, ai sensi del quale l’Italia promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte allo scopo della pace e della giustizia fra le nazioni. 
Volgendo lo sguardo oltre i confini italiani, la protezione delle comunità politiche è la cifra essenziale delle scelte in materia di gestione dei flussi migratori degli ultimi anni. In Europa gli esempi sono molteplici: l’iniziativa del governo ungherese di sottoporre al referendum gli obblighi europei di riparto delle quote di rifugiati, la riforma delle procedure di esame delle domande di asilo e protezione internazionale in Grecia e in Italia, la modifica della legislazione sull’identificazione e l’espulsione degli stranieri nel Regno Unito e in Francia.
Negli Stati Uniti, il presidente ha dapprima promosso la costruzione di un muro lungo il confine messicano e, qualche settimana dopo, emanato una serie di decreti per escludere dall’ingresso sul territorio nazionale i cittadini di sette paesi islamici, considerati patria del terrorismo jihadista. Ancora, in Australia è stata modificata la legge sull’acquisto della cittadinanza per escludere gli immigrati di seconda generazione dall’applicazione della regola dello ius soli e, contestualmente, è stata perseguita la politica della detenzione amministrativa sine die dei richiedenti asilo, peraltro nelle isole satelliti.

Talvolta, la chiusura delle comunità politiche ha a che fare con la rinascita di nazionalismi e la riscoperta di miti etnici, sintetizzati in formule politiche che coniugano la difesa dei confini con la diffidenza verso le istituzioni internazionali e sovranazionali. C’è dunque una contiguità logica tra politiche dell’immigrazione dominate da logiche securitarie e nazionalismo sovranista. Una contiguità che può essere interrotta dal protagonismo delle istituzioni, in primo luogo europee, nella definizione delle regole per la disciplina dell’immigrazione e per l’accoglienza dei rifugiati. Il primo passo dovrebbe essere compiuto con la riforma del cosiddetto sistema di Dublino, ovvero di uno dei pilastri del Common European Asylum System che detta regole per il coordinamento delle procedure di esame delle domande di asilo e di protezione internazionale. I meccanismi congegnati a Dublino sono oggi criticati dai paesi del gruppo di Visegrad e, di recente, da esponenti del governo italiano per l’onere cui sottopongono i paesi di primo approdo. In effetti, essi si sono dimostrati inefficienti e inefficaci e meritano un ripensamento, anche per sottrarre argomenti a quei governi che vogliono eludere gli obblighi europei.

Ma il protagonismo delle istituzioni europee serve in primo luogo a rammentare ai nazionalismi sovranisti che la sovranità non legittima, nell’impostazione fondamentale del costituzionalismo contemporaneo, l’esercizio di un potere isolato. La sovranità delle democrazie liberali impone, al contrario, un dialogo costante con la comunità internazionale, alla quale ci legano obblighi radicati nel patto costituzionale sottoscritto al piano della comunità politica nazionale.

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