La lunga ombra della guerra sull'Europa dell'est
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La lunga ombra della guerra sull'Europa dell'est

LE CONSEGUENZE SUL CAPITALE UMANO IN NUMERO DI MORTI E MIGRAZIONI FORZATE HANNO BLOCCATO LE ECONOMIE DEI PAESI OLTRE CORTINA. IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE, PIU' ANCORA DEL SOCIALISMO, LA PRINCIPALE CAUSA DEL FORTE SQUILIBRIO TRA EST E OVEST

di Tamas Vonyo, assistant professor presso il Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico

Il mezzo secolo successivo al 1945 è stata l’era caratterizzata dalle maggiori trasformazioni nella storia dell’est Europa. Un periodo unico e paradossale: il solo, nei tempi moderni, in cui l’Europa dell’est e quella dell’ovest abbiano in sostanza seguito cammini di sviluppo differenti con strategie radicalmente diverse. L’era post bellica ha portato allo stesso tempo una crescita e una modernizzazione sociale senza precedenti ma anche un relativo declino economico. Mai, prima del 1945, l’est Europa aveva elevato così rapidamente il suo potenziale produttivo e i suoi standard di vita, e, ciò nonostante, non solo non è riuscita a raggiungere le economie dell’ovest, ma ne è rimasta dietro. Dalla fine degli anni Novanta abbiamo registrato una certa convergenza tra il nucleo dell’ovest e la periferia dell’est Europa, ma la convergenza sia del reddito pro-capite sia della produttività è ben lungi dall’essere completa ed è rallentata notevolmente dopo il 2008. La transizione all’economia di mercato e alla democrazia liberale non è stata un successo inequivocabile e siamo stati testimoni di pericolose inversioni di rotta in queste dinamiche di transizione.
Ma in che misura questi problemi rappresentano la cattiva eredità del socialismo di stato o degli shock storici precedenti? Questa domanda è stata l’oggetto della mia ricerca sulla crescita post-bellica in Europa e sulle performance di sviluppo delle economie ex-socialiste. Se le conseguenze della seconda guerra mondiale sono state catastrofiche ovunque, nell’est Europa sono state apocalittiche.

Le ostilità sul fronte bellico dell’est hanno provocato un’inimmaginabile distruzione. Le battaglie più devastanti della storia militare globale sono state combattute negli anni Quaranta nella linea di terra che si estende tra Berlino e Stalingrado. Migliaia di città sono state cancellate dalla faccia della terra e le infrastrutture di trasporto hanno subito danni apparentemente irreparabili. La divisione della Germania e la guerra fredda hanno sciolto i legami di input-output tra i mercati regionali. In diversi paesi la produzione industriale è crollata, a fine ‘45, a livelli che erano già stati superati a inizio del ventesimo secolo.
Ma la peggiore conseguenza della guerra è stata l’enorme perdita in risorse umane. Nel conflitto sono morti quaranta milioni di europei dell’est, inclusi cinque dei sei milioni di ebrei morti nell’Olocausto. Altri milioni sono emigrati, fuggendo dall’avanzata dell’armata sovietica o abbandonando la propria terra quando i partiti comunisti sono andati al potere. L’espulsione di 15 milioni di persone di etnia tedesca dall’Europa centrale e da quella dell’est dopo il 1945 e i trasferimenti forzati di popolazioni hanno aumentato questo esodo. Tali ondate migratorie hanno contato poco nella storia economica dell’Europa dell’est, ma il loro impatto, congiunto a quello della perdita di vite umane dovuta alla guerra, è stato monumentale. Ungheria, Romania e Jugoslavia non hanno registrato crescita della popolazione tra il 1939 e il 1950. La Cecoslovacchia e la Polonia non si sono riprese dallo shock di quel periodo prima degli anni Sessanta. La guerra ha lasciato dietro di sé una quantità di asset industriali e commerciali senza proprietari e senza know-how imprenditoriale per renderli operativi.

La mia recente ricerca ha valutato la performance della crescita dell’Europa dell’est a partire dal 1945 alla luce di questi eccezionali fatti storici. Le evidenze che ne emergono suggeriscono che le eredità della guerra hanno contrastato la ricostruzione e il conseguente progresso economico tanto quanto, se non più, del socialismo. Contrariamente all’idea comune, le economie pianificate hanno investito in capitale umano e fisico una percentuale molto più piccola delle proprie entrate rispetto alle economie delle nazioni occidentali dalla crescita più veloce, proprio a causa delle restrizioni dovute alla guerra e alle condizioni che questa si è lasciata dietro. Quando infine i governi socialisti sono riusciti ad aumentare i loro investimenti, l’est Europa è stato colpito da nuove calamità: lo shock petrolifero degli anni Settanta e le crisi del debito sovrano che ne è seguita, che hanno fatto precipitare gli investimenti e hanno finito per minare la legittimità economica del comunismo. Le conseguenze per le economie in transizione sono state strutture produttive datate, competenze tecniche insufficienti e competenze lavorative inadeguate, che hanno limitato la possibilità della regione di recuperare, anche nel contesto dell’integrazione europea e dei vasti trasferimenti di capitali e tecnologie ricevuti a partire dagli anni Novanta.

L’ombra lunga della guerra trascende l’economia. La reazione recentemente espressa dai governi dell’Europa centrale all’immigrazione forzata possono aver causato giusta indignazione, ma soprattutto evidenziano l’eredità di omogeneizzazione etnica che la guerra e l’ordine post-bellico hanno imposto alla regione e i ricordi terribili che la guerra ha lasciato. Allo stesso modo, la risposta autoritaria alla crisi economica di diversi nuovi stati membri dell’Ue negli anni recenti e lo sconcertante sostegno di vaste maggioranze di elettori a tale risposta non sorprendono del tutto lo storico che abbia studiato la risposta politica alle sfide ancora più grandi del dopoguerra.
 

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