OPINIONI |

Il terrorismo si sconfigge in tribunale

L'ARMA IN PIU' NELLA LOTTA ALL'ESTREMISMO ISLAMICO FONDAMENTALISTA E' IL DIRITTO PENALE: TRASPARENTE, APERTO, VERIFICATO ED EQUO

di Francesco Vigano', ordinario presso il Dipartimento di studi giuridici

Si sente spesso ripetere, dopo la tragedia dell’11 settembre 2001, che il terrorismo di matrice islamico-fondamentalista non è una comune forma di criminalità, ma una vera e propria guerra lanciata contro i paesi occidentali da centrali del terrore con base all’estero. La conseguenza che invariabilmente si trae da questa premessa è che il diritto penale non sarebbe strumento idoneo a combattere questa guerra, e che la relativa responsabilità toccherebbe piuttosto al potere esecutivo e ai servizi di intelligence, ai quali dovrebbero essere conferiti poteri di emergenza.
Alcune notizie di cronaca giudiziaria degli ultimi tempi mettono in guardia, però, contro queste prospettive. Riferisce il Corriere del 5 maggio scorso di un ventunenne siriano, sbarcato con altri rifugiati a Pozzallo nel 2015 e quindi spedito in custodia cautelare per 14 mesi come sospetto terrorista islamico sulla base di materiale probatorio poi rivelatosi, in dibattimento, del tutto privo di consistenza.

In un altro articolo pubblicato lo stesso 5 maggio, leggiamo poi di un albanese condannato a due anni e passa di reclusione da un tribunale milanese per calunnia per avere, in qualità di asserita fonte dei servizi segreti israeliani, fatto pervenire alla polizia italiana la falsa accusa a carico di sette stranieri di avere progettato un attentato a una sinagoga milanese.
Nessuno sottovaluta, intendiamoci, la minaccia del terrorismo fondamentalistico, che già troppi lutti ha causato in paesi a noi vicini, e che continuamente miete vittime in tutto il mondo tra gli stessi musulmani. Il punto è che non è vero, come da molte parti si afferma, che il sistema penale non ha le armi per combattere questa lotta. Proprio all’opposto: il diritto penale è oggi in grado di reagire tempestivamente a qualsiasi attività anche lontanamente preparatoria di futuri attentati, mediante l’arresto, la custodia cautelare e lunghe pene detentive a carico di chi abbia, per esempio, inneggiato su un social media alla jihad globale, o abbia scaricato video contenenti istruzioni su come eseguire un attentato suicida. E il sistema penale è in grado di acquisire le prove di tali attività, perché dispone di raffinati strumenti di indagine che consentono, con l’autorizzazione preventiva di un giudice, di entrare nel domicilio fisico e informatico dei sospettati, e di monitorare così 24 ore su 24 le loro attività.
Rispetto però ai servizi di intelligence, il diritto penale ha un grande vantaggio: è un sistema trasparente, aperto a continue verifiche di una pluralità di attori giurisdizionali, chiamati a controllare la correttezza delle decisioni compiute dalla polizia e dai pubblici ministeri. Ed è un sistema, soprattutto, che concede a chi sia sospettato la possibilità di difendersi e di confrontarsi con le prove a proprio carico, dimostrandone l’infondatezza. Proprio come è accaduto ai soggetti ingiustamente accusati nelle vicende di cui ha parlato il Corriere della Sera.

Combattere il terrorismo con le armi del diritto è, oggi, un’assoluta priorità, se vorremo guardarci dal rischio di sparare nel mucchio contro chiunque sia sospettato di simpatie per la causa fondamentalistica. Un rischio che sarebbe fatale, perché per vincere questa battaglia abbiamo invece necessità di isolare i soggetti davvero pericolosi dalle rispettive comunità di appartenenza, la cui preziosa alleanza potremo conquistarci soltanto assicurando processi equi ai sospettati, e pronunciando condanne soltanto sulla base di prove trasparenti e inoppugnabili.
 

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