Il processo al processo
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Il processo al processo

MEDIAZIONE E NEGOZIAZIONE NON FUNZIONANO COME PREVISTO E SERVIREBBE UN INTERVENTO DEL LEGISLATORE

di Marcello Gaboardi, assistant professor presso il Dipartimento di studi giuridici

I tentativi di rimediare al malfunzionamento della giustizia civile non sono mancati. Il legislatore processuale ha incrementato il ruolo delle alternative dispute resolution in funzione deflattiva del contenzioso civile. L’idea non è nuova, dal momento che, accanto a uno strumento antico come l’arbitrato, i soggetti coinvolti in una lite hanno sempre autonomamente sperimentato soluzioni alternative, caratterizzate da un contenuto transattivo. È solo in questi ultimi anni, però, che l’ordinamento italiano si è arricchito di strumenti apparentemente più efficaci in un’ottica deflattiva. Anzitutto, il d.lgs. n. 28/2010 ha previsto che le liti in materia civile e commerciale possano essere sottoposte dalle parti a un tentativo di soluzione conciliativa attraverso l’opera di un organismo di mediazione. Ma il vero punto di svolta si sarebbe dovuto individuare nella previsione secondo cui, in rapporto ad alcune tipologie di controversie (come quelle in materia di diritti reali, successioni, contratti bancari e assicurativi), l’esperimento del tentativo di mediazione è reso dalla legge obbligatorio come condizione di procedibilità della lite innanzi al giudice.

Un’impostazione analoga, del resto, ha ispirato anche il d.l. n. 132/2014, che consente alle parti di avviare un’attività di negoziazione della lite attraverso l’assistenza dei propri avvocati. Il legislatore si affida insomma alla competenza del mediatore e del ceto forense per assicurare un’efficace deflazione del processo. A ben vedere, però, è illusoria la convinzione che, rendendo più difficile l’accesso alla tutela giurisdizionale mediante un obbligo di esperire preventivamente il tentativo di mediazione o negoziazione, si inducano le parti a impegnarsi per una soluzione conciliativa che le dissuada poi dal rivolgersi al giudice e, quindi, dall’aggravare l’amministrazione della giustizia. Invero, in un contesto nel quale i tempi e i costi del processo civile si rivelano inadeguati per le esigenze di tutela delle parti, gli strumenti conciliativi della lite non possono che risultare, di per sé, inidonei a prevenire l’inefficienza del processo.

E questo perché è soltanto un processo efficiente che induce le parti, e specialmente quella che ha torto, a confidare nella conciliazione come mezzo per evitare una sanzione piena e tempestiva (quella che deriva, appunto, da un processo efficiente). Le alternative dispute resolution sono alternative valide a un processo che sia dotato di sufficienti requisiti di efficienza in termini di contenimento dei costi e dei tempi necessari per la pronuncia della sentenza (e, altresì, per la sua esecuzione), ma si rivelano inadeguate se sono pensate come una semplice barriera per rendere, di fatto, più difficoltoso l’accesso al processo. Se poi si considera che gli strumenti conciliativi comportano dei costi a carico delle parti, è agevole ricordare come l’ordinamento annoveri già lo strumento (gratuito) della conciliazione ad opera del giudice nel corso del processo; una conciliazione, quest’ultima, che se venisse rafforzata dal legislatore e presidiata da reali poteri sanzionatori, assicurerebbe un risultato prevedibilmente più efficace e tempestivo per una soluzione realmente alternativa della lite.
 

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