OPINIONI |

Il mattone straniero piace a tutti

SONO IN CRESCITA GLI ACQUISTI IMMOBILIARI ALL'ESTERO SIA DA PARTE DEI PRIVATI, SIA DEGLI INVESTITORI PROFESSIONALI

di Armando Borghi, direttore del Master in real estate della SDA Bocconi

Negli ultimi due anni sono calate le transazioni nel mercato immobiliare e si è aggravata l’imposizione fiscale. È possibile che gli investimenti, di riflesso, si siano spostati verso l’estero? Per rispondere partiamo da due istantanee: la prima mostra che il numero di transazioni residenziali realizzate all’estero nel 2013 da parte di famiglie italiane, oltre 42 mila, ha segnato un +6,3% rispetto al 2012 (dati Scenari Immobiliari); la seconda trae origine dalla notizia dell’acquisto, da parte di Axa Real Estate, di un immobile ad uso uffici a Helsinki per conto di un fondo di diritto italiano.
Il primo dato si riferisce ad acquisti residenziali da parte di piccoli investitori privati, il secondo ad investimenti corporate. Hanno logiche e correlazioni rischio/rendimento differenti, ma il denominatore comune sembra essere un interesse verso il mattone straniero.

Per valutare la consistenza di questa tendenza dobbiamo specificare però che, nel primo caso, la quota di acquisti per investimento sul totale delle transazioni è inferiore al 50%. Non stupisce invece che il piccolo investitore privato scelga l’asset class, che presenta minori profili di rischio e, ragionando in termini di capital gain generato da una successiva vendita del bene acquistato, guardi soprattutto a realtà estere che presentano buone prospettive di rivalutazione.
Occorre però considerare che un investimento all’estero implica, rispetto ad un acquisto domestico, una maggiore complessità gestionale, per la lontananza e per le specifiche normative anche in tema di fiscalità. La scelta non deve essere inoltre condizionata da un apparente rapporto di cambio conveniente, ma da un’attenta analisi, in quanto i diversi mercati possono avere andamenti e ciclicità diversi, anche in relazione al contesto politico-economico.
Londra per esempio attrae gli investitori grazie alla sua crescente importanza strategica, unitamente alle prospettive economiche del Regno Unito. I prezzi residenziali hanno visto +7% nel 2013 e sono in crescita dal 2010, attestandosi sopra il 13%, rispetto ai livelli pre-crisi. A New York i prezzi hanno ricominciato a crescere nel 2013 (+3,8%) dopo sei anni di cali consecutivi, mentre a Parigi i prezzi registrano +9% rispetto al 2008, ma le condizioni economiche più deboli in Francia hanno determinato un processo di ripresa più lento e prezzi in calo nel 2013 (-1,3%). (Dati Hamptons Research).

Per quanto riguarda invece il secondo punto, che porta l’esempio dell’acquisto di uffici a Helsinki, siamo di fronte ad un investitore istituzionale, che diversifica il portafoglio con immobili di qualità fuori dall'Italia. In proposito i paesi nordici (Svezia, Norvegia, Finlandia) si collocano al 4° posto nella classifica dei paesi in grado di attrarre investimenti corporate in Europa (11% del totale 2013), preceduti da Francia (12%), Germania (21%) e Gran Bretagna (37,5%; dati Nomisma). Guardando però alle scelte di investimento dei fondi censiti da Assogestioni, si vede che, nel 2013, quelle in immobili nel complesso hanno riguardato l’estero solo per il 3%.
Alla luce di questi elementi, si può concludere che alcune realtà straniere rappresentino una scelta sempre più considerata, in ottica di diversificazione e maggiore attenzione al profilo qualitativo degli investimenti immobiliari. Il rallentamento del mercato nazionale può aver contribuito quindi non ad uno “spostamento” generalizzato verso l’estero, ma alla graduale comprensione della necessità di ragionare in ottica glocale, per cogliere le migliori opportunità sul mercato.

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