La cultura del rischio non e' italiana
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La cultura del rischio non e' italiana

SE IL RAMO VITA E' IN SVILUPPO, QUELLO DANNI RESTA FERMO. LA VERA SFIDA PERO' E' DIGITALE: SIA PER CREARE PRODOTTI SU MISURA, SIA PER VENDERLI

L’Italia bene, ma non benissimo. Volendo sintetizzare un mondo assicurativo in evoluzione, questo è ciò che suggerisce un paragone tra il nostro e gli altri paesi. Con, da noi, due settori, quello vita e quello danni, che viaggiano a ritmi diversi.
Più spedito il primo, anche grazie alla maggiore ingegnerizzazione finanziaria introdotta dall’ingresso delle banche nella partita, e un po’ più rallentato il secondo, che invece risente di una cultura dell’assicurazione ancora limitata rispetto ad altri paesi (assicurazione dei veicoli a parte).
Lo spiega Fabio Carniol, ceo di Helvetia Vita e di Chiara Assicurazioni, nonché alumnus (laurea in economia aziendale nel 1990) di recente incaricato dalla Bocconi Alumni Association dei rapporti con gli alumni top manager.
Qual è dunque la fotografia delle nostre assicurazioni?
Il ramo vita ha conosciuto negli ultimi anni un forte sviluppo, rispetto ad altri paesi, soprattutto grazie al canale bancario e postale. Fino a un paio di anni fa, i prodotti di punta erano le polizze rivalutabili, con ottimi rendimenti e un minimo garantito, ma il basso livello dei tassi di interesse e l’elevato capitale assorbito da questi prodotti sta favorendo la diffusione di polizze unit-linked, collegate a uno o più fondi d’investimento, e di prodotti multiramo, che permettono un’adeguata diversificazione combinando una componente unit-linked con una componente rivalutabile. Il problema è che, da noi, l’investimento in fondi pensione è ancora molto basso rispetto all’estero.
Siamo un paese ancora restio ad assicurarsi?
Per alcuni versi sì. Per esempio, siamo ancora indietro sul versante assicurazioni per il rischio vita, che sono diffuse solo in caso di mutuo. In Italia il ramo vita è fatto quasi tutto da prodotti di investimento, assomiglia molto al risparmio gestito. Altro esempio: solo 1/4 degli italiani assicura la propria casa e, sebbene stiano crescendo, anche le polizze salute rimangono ancora indietro nel confronto internazionale. Tutto questo spinge le persone a investire male il proprio risparmio, tenendolo liquido sui conti correnti o in investimenti a breve termine perché «non si sa mai» invece di impiegarlo per costruirsi una pensione «di scorta» o per pagare gli studi dei figli. Nei rami danni banche e Poste stanno crescendo moltissimo e stanno guadagnando quote di mercato a scapito soprattutto degli agenti.
Ma questo vale solo per i privati o anche per le aziende?
Le grandi sono bene assicurate, le piccole no. Anche qui, la gestione del rischio sconta una mentalità ancora piuttosto arretrata e questo rappresenta una debolezza per le nostre imprese, che sono spesso indifese.
Che effetti ha avuto la stagnazione dell’economia in paesi come l’Italia?
La crisi ha avuto maggiori effetti sui rami danni. Nel settore Rc auto sta calando da anni il premio medio per via della forte concorrenza e della minore incidenza dei sinistri, dovuta al minore utilizzo delle auto e alla riduzione del parco circolante. Rimane ancora alto il peso delle truffe rispetto ad altri paesi. Negli altri rami danni non vi è stata crescita, nonostante la sottoassicurazione degli italiani.  
Temi forti per il futuro?
Il digitale, che è al tempo stesso una grande opportunità e una grande minaccia. Le scatole nere, i sensori per la smart home e i dispositivi indossabili che registrano lo stato di salute: tutto ciò consentirà alle compagnie di profilare meglio i clienti, costruendo prodotti personalizzati e praticando sconti a chi fa prevenzione. La tecnologia consentirà inoltre di acquistare i prodotti in modo più semplice e di migliorare i servizi post-vendita, come per esempio la gestione dei sinistri. Governare questo cambiamento è la grande sfida per le assicurazioni.
 

di Andrea Celauro

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