Andrea Sironi, istantanee dalla Bocconi
PERSONE |

Andrea Sironi, istantanee dalla Bocconi

L'INCONTRO CON RATAN TATA, QUELLO QUOTIDIANO CON GLI STUDENTI, L'INTENSA COLLABORAZIONE CON LA SUA SQUADRA: SONO SOLO ALCUNI DEI MOMENTI CHE HANNO RIEMPITO I QUATTRO ANNI DELL'ESPERIENZA COME RETTORE

È nell’equilibrio fra la determinazione personale e una certa predisposizione al confronto, fra la ricerca dell’eccellenza intellettuale e la valorizzazione del capitale umano che si racconta Andrea Sironi. Rettore della Bocconi dal 2012 al 2016 e presidente della Borsa Italiana dal 2016, si è laureato in Economia politica in Bocconi nel 1989 e per oltre vent’anni è stato docente di Economia degli intermediari finanziari presso l’ateneo milanese. Il suo è un approccio virtuoso alla vita privata e a quella universitaria che ricorda la teoria aristotelica del giusto mezzo in cui la virtù rappresenta un punto di equilibrio. Tra i primi a partecipare come studente al programma Erasmus, ad Andrea Sironi si deve la forte spinta all’internazionalizzazione della Bocconi per “consentire ai giovani di allargare i propri orizzonti e prospettive”. Una mente analitica che sa scegliere con cura e misura le parole, un sorriso discreto che riempie di umanità anche le riflessioni più razionali, uno sguardo trasparente che, a tratti, rivela uno spirito accogliente. Così, nel suo stile, Andrea Sironi apre il proprio album di ricordi dei trent’anni trascorsi in Bocconi.
 
Che cosa l’ha spinta a rimanere in Bocconi dopo la laurea?
Dopo essermi laureato sono andato a Londra per lavorare alla Chase Manhattan, che oggi fa parte del gruppo JP Morgan, perché desideravo affrancarmi economicamente. Il mio sogno, però, era quello di fare il docente, così quando Claudio Dematté, il professore con cui mi sono laureato, mi ha chiesto di tornare in Bocconi non ci ho pensato due volte: ho lasciato un bel impiego e un appartamento pagato a Draycott Place a Londra per una borsa di studio e una postazione di lavoro in uno scantinato, da condividere con otto colleghi”.
 
Da dove arrivano la passione per l’insegnamento e il desiderio di perseguire la carriera accademica?
“Forse da mio padre: era uno scienziato, lavorava come genetista all’università. Da sempre avrei voluto insegnare e ho deciso di provarci anche per non avere rimpianti. Oggi posso confermare che questa scelta mi ha portato grandissime soddisfazioni.
 
Quali, per esempio?
Una delle esperienze più straordinarie per un docente è ricevere le lettere di ringraziamento degli studenti che riconoscono il valore di ciò che si è riusciti a trasmettere. Il rapporto con i ragazzi ci rende diversi da chi lavora in un centro di ricerca. Noi, infatti, affianchiamo lo studio e la ricerca all’insegnamento, che naturalmente arricchisce molto sul fronte delle relazioni umane.
 
Com’è stato il rapporto con Claudio Dematté e, negli anni, quello con i colleghi?
Claudio Dematté è stata una figura molto importante, carismatica e sempre molto dedita all’università nonostante gli importanti incarichi esterni, quali quelli in Rai e nelle Ferrovie. Tra i colleghi ho incontrato uomini e donne molto vicine a me per mentalità e interessi. Quando ero a Londra, invece, mi rendevo conto che il modello di vita delle persone con cui lavoravo non corrispondeva ai miei desideri per il futuro.
 
Com’è cambiata l’università in questi trent’anni?
È cambiato tutto. Una volta la ricerca era più agganciata alle problematiche reali ma meno robusta dal punto di vista metodologico. Oggi, invece, è più sofisticata e rigorosa: la ricerca è diventata molto importante perché ci siamo allineati ai modelli anglosassoni in cui, nei primi anni di carriera, è fondamentale crearsi una posizione scientifica. Il mercato è aperto e se l’università non dà spazio ai professori più bravi li perde, così la Bocconi è costretta a promuovere i più brillanti e produttivi. Anche gli studenti sono cambiati e ho l’impressione che siano meno critici rispetto a un tempo. Questo è dovuto in parte al fatto che i giovai di oggi hanno maggiori preoccupazioni rispetto al proprio futuro di quante ne avesse la mia generazione. Noi vivevamo un mondo più rassicurante e spesso mettevamo in discussione i temi che ci venivano proposti in università così come ci confrontavamo in maniera vigorosa con i professori.
 
Come descriverebbe l’inizio del suo rettorato?
Ho iniziato il mio lavoro di rettore che ero relativamente giovane (il secondo più giovane della Bocconi dopo Mario Monti, ndr) e mi sentivo piuttosto insicuro. Mi sentivo sotto osservazione da parte di colleghi più anziani di cui avevo rispetto e grande stima. Dopo un anno è stato tutto molto più semplice. Come docente, prorettore e direttore dei programmi formativi avevo il vantaggio di conoscere bene il funzionamento della Bocconi, ma anche lo svantaggio di essere in confidenza con molti colleghi e, in questa condizione di amicizia, alle volte è stato difficile dire di no e prendere una strada diversa da quella che alcuni auspicavano.
 
E, oggi, alla fine del rettorato, le capita ancora di sentirsi insicuro?
Sì, ma penso che, alle volte, non sentirsi perfettamente adeguato per il ruolo che si ricopre ci protegga dal commettere errori importanti che spesso derivano dall’eccesso di confidenza. In questi anni ho sempre cercato di ascoltare le opinioni di tutte le persone che avevo intorno e poi ho preso le mie decisioni. Posso aver fatto degli errori ma non mi sono mai risparmiato.
 
Qual è stata la ricetta del suo rettorato?
Ho lavorato in continuità con i miei predecessori e ho beneficiato del lavoro di chi mi ha preceduto, ma la mia squadra è stata fondamentale per raggiungere i risultati e introdurre alcune importanti innovazioni. Penso che lo spirito di collaborazione, di amicizia e di stima reciproca che si è sviluppato all’interno della squadra rettorale sia stato il principale vantaggio di cui ho beneficiato in questi anni di guida dell’università.
 
Quali sono state le sue riforme?
L’internazionalizzazione e la mobilità sociale. Oggi quasi tutti i nostri studenti riescono a fare un’esperienza all’estero e molti possono accedere a un programma di borse di studio che rappresenta un’opportunità di emancipazione sociale: la Bocconi, infatti, garantisce il 94,3% di tasso di occupazione a un anno. Tutto ciò mi fa molto piacere. Ho lavorato intensamente per sconfiggere l’immagine elitaria della Bocconi dal punto di vista sociale, mantenendo inalterata l’esclusività intellettuale.
 
Ricorda qualche studente che ha beneficiato dei programmi a sostegno del valore umano?
Certo, uno su tutti è Dari Tjupa, uno studente apolide che ha vissuto gran parte della sua vita universitaria nei dormitori della Caritas. Non aveva i mezzi per fare l’università e noi l’abbiamo aiutato: oggi è laureato, ha un lavoro e una propria soddisfazione. Questa persona si è fatta da sé in Bocconi e la sua storia mi ha colpito molto.
 
Alle matricole ha augurato sfruttare gli anni dell’università per costruire un album di ricordi. Che cosa c’è nel suo?
Purtroppo da studente non ho frequentato molto l’università perché ho avuto un problema di salute ma ricordo con affetto e ammirazione alcuni compagni, tra cui Aldo Romani, un appassionato europeista che lavora in Lussemburgo presso la Banca Europea degli Investimenti (BEI): una persona semplice e di grande visione con cui ancora oggi è piacevole passare del tempo. Un altro è Giancarlo Spagnolo, che ho sempre visto come modello di riferimento, oltre alla carriera accademica, ci uniscono problemi di salute.
 
Da rettore ha svolto anche un ruolo di rappresentanza e ha incontrato grandi personalità. Chi l’ha colpita maggiormente?
Uno è Ratan Tata, una figura molto carismatica che ho avuto occasione di conoscere in quanto membro dell’International Advisory Council della Bocconi. È una persona saggia, pacata, generosa, ma anche molto semplice nonostante il ruolo di quasi divinità che gli viene attribuito in india. Non sono da meno Vittorio Colao, il ceo di Vodafone, e Antonio Belloni, direttore generale di LVMH: con loro ho costruito un rapporto di amicizia sincero e profondo.
 
Come ci si sente un grande tra i grandi?
Non credo che le persone appena citate vedano in me un grande, ma sicuramente colgono l’impegno che ho sempre dedicato alla Bocconi. Tutto questo è stato possibile perché ho potuto contare su una squadra formata anche da persone completamente dedite all’istituzione che non cercavano visibilità. Alberto Grando è il numero uno da questo punto di vista, ma non posso dimenticare Marco Agliati, Antonella Carù, Stefano Caselli e tutti gli altri.
 
Nella sua squadra c’era anche Gianmarco Verona che è stato nominato suo successore…
Il passaggio di consegne con Verona è stato piuttosto semplice perché è stato mio prorettore e in quanto tale conosceva molto bene sia l’università, sia la mia persona. Quando è stato il mio turno, invece, il cambio di testimone non è stato così naturale perché io non facevo parte del team di Guido Tabellini. Nonostante ciò, l’allora Rettore è stato molto gentile, offrendomi la sua completa disponibilità e al contempo mettendosi da parte senza dunque voler interferire con le mie decisioni.
 
Cosa fa un rettore dopo il rettorato?
Si riposa. Non ho pianificato nulla, ho un invito all’estero ma non voglio prendere impegni perché vorrei  dedicare più tempo alla mia famiglia, ai miei tre figli (23, 20 e 12 anni, ndr) e a me stesso: ho bisogno di rallentare. Farò un passo indietro rispetto all’università anche se sarà difficile perché ha rappresentato gran parte della mia vita; così per distrarmi andrò un po’ in barca a vela.
 
 

di Allegra Gallizia

Ultimi articoli Persone

Vai all'archivio
  • La pandemia del futuro potrebbe essere silente

    E il momento di scegliere in quale direzione deve andare la sanita'. Il futuro non e' roseo e serve immaginazione per ripensarla, cosi' Francesca Colombo, alumna e responsabile Health Division dell'Oecd. Un futuro in cui puo' aiutare lo sviluppo dell'Ai, ma che potrebbe vedere l'arrivo di nuovi tipi di emergenze

  • Questa non e' una societa' per giovani, donne e stranieri

    Le vulnerabilita' aumentano la' dove si incontrano questi tre fattori di svantaggio, spiega Roberto Barbieri, alumnus e d.g. di Oxfam Italia. E in un'Italia che non mostra segnali di inversione di tendenza, i problemi sociali diverranno piu' profondi

  • Le due vie dell'Egitto per i beni di largo consumo

    Esportazioni agricole da un lato e potenziamento della produzione locale dall'altro: queste le opportunita' che individua Moustafa Hassanein, alumnus e deputy GM di Maggie Metal Corporation, nel mercato di un paese demograficamente in continua crescita

Sfoglia la nostra rivista in formato digitale.

Sfoglia tutti i numeri di via Sarfatti 25

SFOGLIA LA RIVISTA

Eventi

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31