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Gli acquerelli del professor Salvemini

ALLA GALLERIA IL MILIONE DI MILANO, MARTEDÌ 6 NOVEMBRE SI INAUGURA LA PRIMA MOSTRA DEL DOCENTE BOCCONI SEVERINO SALVEMINI: 'PREGO, FARSI RICONOSCERE AL CITOFONO'. IL RICAVATO DELLA MOSTRA SARÀ DEVOLUTO A UNA BORSA DI STUDIO

La sua passione per l’arte non è certo un mistero. Severino Salvemini, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Bocconi, si occupa da sempre dei temi legati al management della cultura. Quel che probabilmente è sconosciuto ai più è che il professor Salvemini dipinga: “Per diletto, s’intende”, tiene a sottolineare.

“Prego, farsi riconoscere al citofono” è la sua prima mostra: ospitata dalla storica galleria milanese Il Milione, l’esposizione sarà inaugurata martedì 6 novembre, con la presentazione del giornalista Beppe Severgnini, e rimarrà aperta al pubblico fino al 4 dicembre. Il ricavato della mostra sarà devoluto a una borsa di studio per un corso di management dell’arte dell’Università Bocconi.

I 72 acquerelli esposti alla galleria Il Milione sono stati realizzati da Salvemini tra il 2008 e il 2012 e rappresentano un oggetto che, colto nel suo habitat metropolitano e sottratto alla sua banalità di mezzo di comunicazione, viene osservato ora da una prospettiva diversa: il citofono. “Tutto inizia da un citofono di un palazzo di Colonia su cui mi era caduto l’occhio”, racconta Salvemini. “Quel citofono”, osserva il professore, “non avrei mai potuto trovarlo in Sicilia o in Spagna o a Marsiglia”. Così, da un dettaglio notato durante un viaggio, inizia a profilarsi il progetto di ritrarre e confrontare gli apparecchi osservati nelle diverse città del mondo: da Colonia a Marsiglia, da Capri a Belfast, fino a Rio de Janeiro, New York o Abu Dhabi. “Più vado in giro per il mondo e più mi accorgo quanto questa piccola cosa sia una spia molto pregnante dell’arredo urbano”, afferma Salvemini. “Il citofono”, conclude l’autore, “incarna attraverso un banale strumento di comunicazione valori, credenze e identità di chi vive in un certo spazio. L’abitante del palazzo magari non lo sa, ma la sua cultura è in piazza. E neanche troppo implicitamente”.

 

E la scelta della tecnica non è affatto casuale: “L’acquerello, per la sua eleganza e delicatezza, storicamente è sempre stato utilizzato per omaggiare la bellezza, paesaggistica o umana”, afferma l’autore. “Il mio desiderio”, prosegue Salvemini, “è piuttosto quello di fare con l’acquerello delle cose moderne, e in quanto tali non belle nel senso tradizionale del termine”. Il professore, infatti, ha in cantiere un’altra serie di acquerelli, questa volta dedicata ai vecchi cinema abbandonati. Ma ribadisce che l’acquerello non è un hobby al quale ci si può dedicare in un ritaglio di tempo, la sera quando si torna a casa stanchi da una intensa giornata lavorativa: “Innanzitutto è una tecnica che necessita di una enorme concentrazione e di un certo allenamento”, spiega il professore, “perché non consente recuperi, e se sbagli butti via tutto”. La “mano”, come la chiama lui, Salvemini ha iniziato a riprenderla un bel po’ di anni orsono: “Ho ripreso all’inizio degli anni Novanta, grazie a un corso serale del Comune di Milano”. Poi ha continuato a dipingere autonomamente, soprattutto durante le vacanze: “Per un periodo, andavo in giro con un pittore del Naviglio. Con lui avevamo un patto”, ricorda Salvemini: “Lui mi dava consigli sulla mia tecnica artistica, io gli portavo una bottiglia di vino, la sera, ogni tanto”. In secondo luogo, l’acquarello è un procedimento che richiede uno stato d’animo rilassato: “La mente deve lasciarsi sopraffare dall’acqua che porta via il colore con sé”, afferma Salvemini. “Il bell’acquerello”, dice infatti, “è quello in cui la ‘scivolatura’ del colore va dove vuole”.



di Laura Fumagalli

Foto Firmato Severino Salvemini

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