Massimiliano Zappa porta all'estero il caffe' di famiglia
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Massimiliano Zappa porta all'estero il caffe' di famiglia

SUBENTRATO AL PADRE NELLA GESTIONE DELLA TORREFAZIONE VARANINI, AFFRONTA LE SFIDE DEL MERCATO E QUELLE TIPICHE DEL FAMILY BUSINESS

Massimiliano Zappa era bambino quando, nel 1970, il padre Stefano fondò la torrefazione Varanini. La sede, un locale di 40 metri quadri in una traversa di viale Monza a Milano, era dotata di una sola tostatrice. “Si alzava alle 4 del mattino per tostare il caffè. Poi usciva per procacciarsi i clienti. Aveva qualità personali, intuito, coraggio e quel po’ di faccia tosta che serve per avviare un’attività”. Quarantacinque anni dopo, Zappa è con il fratello Alberto socio della società, di cui guida il canale ho.re.ca., sigla che sta per hotel, restaurant, cafè. Eppure entrare nell’azienda di famiglia non era nei suoi piani. Laureatosi nel 1991 in Economia aziendale alla Bocconi, prende un master in Marketing e comunicazione alla Ca’ Foscari di Venezia che lo porta all’assunzione in Artsana Chicco. È marketing manager in Philips quando nel 2001 viene chiamato a dare una mano al padre e al fratello. L’azienda è in crescita, servono rinforzi.
 
“Lavorare in un’azienda di famiglia ha i suoi pro e contro”, racconta. “La lealtà aziendale è massima, ma la gestione dei contrasti lavorativi è delicata perché rischia di riverberarsi sui rapporti famigliari. La soluzione? Separare i ruoli e distribuire le responsabilità lavorative in modo chiaro. È fondamentale specie per un’azienda come la nostra che ha 12 dipendenti e dove di conseguenza non esistono ruoli intermedi”. Nell’azienda Zappa ha portato le doti organizzative sviluppate grazie agli studi universitari e alle precedenti esperienze lavorative. “Prima che arrivassi non era mai stata fatta contabilità analitica. Col risultato che si andava a naso e si prendevano decisioni strategiche basate su presupposi contabili non ottimali”.
 
Oggi l’azienda opera su tre canali: ho.re.ca.; fornitura per gli uffici di capsule e cialde; distribuzione automatica. “Il vending è diventato il ramo più importante. Secondo i dati Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, negli ultimi tre anni i bar hanno perso più del 30% dei consumi di caffè. Non sono andati persi in assoluto, si sono trasferiti al consumo casalingo e nella distribuzione automatica. La liberalizzazione delle licenze ha avuto un effetto negativo. Per noi che diamo attrezzatura in comodato avere più esercizi a parità di popolazione significa resa inferiore. Su 600 bar che serviamo, ogni anno ne salta circa il 10%, causando drammatici problemi di insoluti di fine rapporto. La soluzione è attrezzarsi per cercare le vendite dove ci sono”. All’estero, ad esempio, dove il consumo di caffè all’italiana è in crescita. Non tanto nei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) difficilmente raggiungibili da un piccolo produttore come Varanini, quanto nell’Europa dell’Est e nel Maghreb. “Cinque anni fa l’export rappresentava il 2% del nostro fatturato. Ora è il 12. Puntiamo a raggiungere il 20. Fortunatamente all’estero i torrefattori italiani godono di buona fama, ma i produttori di altri paesi come la Germania stanno raggiungendo ottimi livelli qualitativi. Del resto hanno un vantaggio competitivo derivante da una migliore logistica, burocrazia più snella, tassazione più leggera. Oggi non inaugureremmo un nuovo stabilimento in Italia, come abbiamo fatto una decina d’anni fa. Lo apriremmo all’estero”. La prossima sfida? “Affrontare il lento processo di concentrazione che è in atto. Dieci anni fa in Italia c’erano 1.200 torrefazioni. Oggi sono 700”.

di Claudio Todesco

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