Vent'anni dopo Spadolini ci parla ancora
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Vent'anni dopo Spadolini ci parla ancora

NEL 1994 CI LASCIAVA UN PROTAGONISTA DI STORIA, GIORNALISMO, POLITICA E UNIVERSITA', UN UOMO CHE HA SAPUTO FARE DI SE' ESATTAMENTE QUELLO CHE AVREBBE VOLUTO ESSERE

di Achille Marzio Romani, professore senior di Storia economica

Vent’anni fa moriva Giovanni Spadolini “un patriota colto e civile”, come qualcuno ha scritto,  un uomo che servì il paese con un  patriottismo sentito e interpretato sempre con nobiltà d’accenti.
Giornalismo, storia e politica furono i tre versanti lungo i quali si andò articolando la complessa personalità di questo eminente rappresentante del mondo laico e  liberale italiano. Egli fu infatti storico lucido e appassionato del Risorgimento e dell’Italia moderna, grande giornalista e prestigioso leader politico. “Una progressione unica nel suo genere, perché davvero rari sono gli esempi di quelli che sanno fare di sé esattamente quello che pensano di essere”, ha osservato Piero Craveri.
Il suo esordio giornalistico è legato proprio alla prima opera storica pubblicata nell’autunno del 1947. Lo scritto in questione non sfuggì a Mario Missiroli, all’epoca direttore dell Messaggero, che si rese subito conto delle doti del giovane studioso e lo invitò a scrivere sul suo giornale. Due anni dopo egli iniziò a collaborare con Il Mondo di Mario Pannunzio. Sul periodico fu presente fin dal primo numero con un articolo che anticipava i temi che avrebbe sviluppato l’anno seguente nel Papato socialista. Il volume, che conobbe un notevole successo, gli aprì la strada all’insegnamento presso l’Università di Firenze, nel mentre prendeva  l’avvio una collaborazione con la Gazzetta del Popolo ed Epoca, il nuovissimo settimanale della Mondadori. 
Nel febbraio 1955, a soli trent’anni, fu chiamato a dirigere Il Resto del Carlino e nei tredici anni in cui fu alla guida della quotidiano bolognese, così come nei successivi quattro al Corriere della Sera, che diresse in un periodo, tra i più travagliati della storia della Repubblica, si dedicò al suo compito senza il minimo risparmio di energie, vivendolo integralmente, quasi un sacerdozio o una missione.
Avrebbe lasciato il quotidiano milanese nel marzo 1972 su iniziativa della proprietà, che lo sostituì in maniera inattesa e avventata. Nello stesso anno, su invito di Ugo La Malfa, prese parte alle elezioni politiche e fece il suo ingresso in Parlamento, a Palazzo Madama. Il nuovo impegno non si sostituì ai precedenti ed egli non rinunciò a collaborare, sia pure saltuariamente, con i quotidiani; La Stampa, in particolare, alla quale restò fedele fino agli ultimi giorni.
Nel ’79, alla morte di La Malfa, Spadolini assunse la segreteria del Partito repubblicano italiano, facendo delle  idee-forza del leader appena scomparso il perno della sua iniziativa politica.
La sua esperienza  politica più importante avvenne però nel 1981, allorché nel pieno della crisi economica e morale, con il terrorismo dilagante, il presidente della Repubblica lo chiamò a formare il primo governo “laico” del Paese; consentendogli così di sperimentare sul campo la sua  volontà di  rinnovare le istituzioni della Repubblica.
Sul tema Spadolini si batté con decisione negli anni di Palazzo Chigi dimostrando che le idee chiare e il coraggio delle scelte possono rimettere in moto un sistema politico invischiato nell’inconcludenza e viziato da molte zone oscure. La sua battaglia si tradusse nell’approvazione di norme che ponevano fuori legge la loggia P2; in una più efficace lotta al terrorismo; nella riduzione dell’inflazione che stava logorando il Paese e in un deciso scostamento dalla deteriore pratica della spartizione fra i partiti degli incarichi di sottogoverno.
Tale condotta avrebbe caratterizzato anche la sua successiva fatica, nel corso della quale poté svolgere interamente quella funzione super partes che gli era congeniale. Come presidente della ‘camera alta’ egli concentrò i suoi sforzi nella realizzazione di un Senato impegnato in un lavoro continuo e a volte oscuro, ma produttivo di risultati significativi; quasi a farne un testimone di quel suo liberalismo risorgimentale estraneo a ogni meschinità. Non a caso Indro Montanelli, che gli uomini li capiva,  commentando l’azione  del suo antico direttore, non mancò di sottolineare che “gli italiani non sono stupidi e sentono il profumo di bucato della camicia di Spadolini: un uomo non ricattabile”. Si trattava di temi sui quali Spadolini sarebbe tornato , dieci anni più tardi, nel maggio del 1994, nel suo ultimo intervento in parlamento: “Dobbiamo rivedere la Costituzione”, egli dichiarò in quel memorabile discorso, “dobbiamo adeguarla alle esigenze di una democrazia funzionante, di una democrazia dell’alternanza ancora tutta da costruire”. Un discorso dai toni alti, una sorta di testamento morale, pronunciato già sapendo di essere minato da un male che tre mesi dopo avrebbe posto fine ai suoi giorni.
Nel racconto di quel complesso mosaico che fu la vita di Giovanni Spadolini manca un tassello, vale a dire il resoconto del ventennio che egli trascorse alla guida della nostra Università. Si tratta di una scelta voluta al fine di non privare il lettore del  piacere di scorrere le pagine, belle e drammatiche, che ha scritto Luigi Guatri (Li ho visti così, Milano 2009, pp. 101-118). Colui che forse più di tutti operò a fianco al presidente per preparare il futuro del nostro Ateneo.
 

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