Perche' la politica del muro non ferma i migranti
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Perche' la politica del muro non ferma i migranti

DAL REGNO UNITO ALLA GERMANIA, DAGLI STATI UNITI ALL'AUSTRIA: TUTTI HANNO FALLITO. EPPURE I POLITICI DEGLI STATI INTRAPPOLATI DAL PARADOSSO LIBERALE CONTINUANO A FARE PROMESSE ELETTORALI. CHE NON RISPETTERANNO

di Anne Marie Jeannet, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico

Nel 2010, David Cameron è diventato primo ministro impegnandosi a tagliare il saldo migratorio nel Regno Unito fino a qualche decina di migliaia di persone l’anno. «Senza se e senza ma», ha promesso. Guidato da Cameron e dall’allora ministro degli interni Theresa May, il governo del Regno Unito ha attuato una serie di politiche di controllo dell'immigrazione: tetti alla migrazione con sponsorship di un datore di lavoro, aumento dei requisiti minimi di reddito per la sponsorizzazione delle famiglie e tagli al numero di visti per studenti. Ma al momento delle elezioni del 2015 il saldo migratorio annuale era salito a oltre 300.000.
Quello di Cameron è solo l'ultimo di una serie di fallimenti delle politiche di controllo dell'immigrazione nelle democrazie occidentali. Tra gli esempi più noti c’è il caso americano: a partire dal 1980, il governo degli Stati Uniti, nel tentativo di ostacolare l'immigrazione clandestina, ha militarizzato il confine con il Messico. La politica non ha funzionato e nel corso dei successivi venti anni la dimensione della popolazione clandestina è raddoppiata ed è costata ai contribuenti americani 35 miliardi di dollari in termini reali.

Ci sono state politiche fallimentari anche in Europa. Dal 1955 al 1973 il governo tedesco, a fronte della carenza di manodopera, ha implementato sistemi di reclutamento di lavoratori ospiti, che avrebbero dovuto tornare a casa alla scadenza del loro contratto. Invece, con grande sorpresa del governo tedesco, i lavoratori hanno preferito farsi raggiungere dalle famiglie e rimanere in modo permanente, stabilendo enclave etniche che persistono ancora oggi. Austria e Svizzera hanno avuto esperienze simili. Riflettendo su questo, lo scrittore svizzero Max Frisch ha acutamente osservato: «Cercavamo lavoratori; ci siamo ritrovati delle persone».
L'ironia delle politiche di controllo dell'immigrazione è che non sono efficaci nel frenare l'immigrazione, ma risultano molto efficaci nel cambiare la struttura degli incentivi per gli immigrati. Di conseguenza hanno spesso conseguenze impreviste: il freno al movimento stagionale dei lavoratori stranieri favorisce l’insediamento permanente; le limitazioni ai visti di lavoro determinano un aumento dell'immigrazione irregolare; la costruzione di muri e la regolamentazione dei viaggi aerei spinge gli immigrati a utilizzare canali più rischiosi.

Ciò si verifica perché l'immigrazione è un fenomeno che si autoalimenta ed è diventato una caratteristica permanente dei paesi industrializzati. Esso è guidato da forze al di là del controllo dei governi nazionali: la dipendenza strutturale dalla manodopera straniera in alcuni settori economici, le norme di diritto internazionale per il ricongiungimento familiare, le enormi disparità economiche tra il Sud e il Nord del mondo, i conflitti armati e le instabilità regionali che portano a migrazioni forzate, solo per citarne alcuni.
Anche se il controllo dell'immigrazione è un’illusione, i governi continuano a provarci perché c’è una forte domanda politica. Per molti cittadini, il controllo delle migrazioni è un elemento centrale della sovranità nazionale e una responsabilità primaria dello stato-nazione. Lo stato si ritrova intrappolato in un paradosso liberale, in cui l'imperativo di rimanere competitivi a livello mondiale spinge all'apertura economica, ma questa comporta livelli elevati di migrazione internazionale, determinando resistenze politiche interne. Finora, non sembra che i governi abbiano trovato un modo per gestire tali rischi politici. In un recente sondaggio il 60% degli europei e il 71% degli americani disapprovava il modo in cui i loro governi gestiscono l'immigrazione.
Questa insoddisfazione significa che ci sono vantaggi elettorali da cogliere. La retorica ufficiale nella maggior parte delle democrazie occidentali continua a esprimere la volontà e la capacità di gestire i flussi di immigrazione.
La campagna per la Brexit ha esortato gli elettori a lasciare l'Unione Europea come mezzo per tagliare l’immigrazione (salvo fare marcia indietro due giorni dopo il referendum). Dall'altra parte dell'Atlantico, il candidato repubblicano Donald Trump ha promesso che, se eletto presidente degli Stati Uniti, estenderà il muro con il Messico e premerà il tasto pausa in materia di immigrazione legale per almeno due anni. E così la farsa di promesse impossibili per frenare l'immigrazione continua ...
 

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