Chi fermera' la musica (liquida)?
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Chi fermera' la musica (liquida)?

PER I DISCOGRAFICI SONO IL NUOVO EDEN, PER GLI ARTISTI ASSOMIGLIANO PIU' ALL'INFERNO. DI SICURO LE PIATTAFORME MUSICALI HANNO CAMBIATO IL MERCATO E IL MODO DI VIVERE L'ASCOLTO. MA LA RIVOLUZIONE VA PORTATA A TERMINE. CON TRASPARENZA

di Aura Bertoni e Massimo Maggiore, rispettivamente collaboratrice al Centro Ask e docente presso il Diipartimento di studi giuridici

La musica ha conosciuto la propria definitiva dematerializzazione attraverso i servizi di diffusione continua on demand nel cloud digitale conosciuti come servizi streaming. Il progresso tecnologico ha quindi abilitato una dirompente innovazione di mercato per il settore musicale.
Le piattaforme streaming, ovviamente quando offrono musica legale, sono salutate favorevolmente dalle case di produzione discografica che fino a qualche anno fa erano invece sotto lo scacco della pirateria. Da un lato, questi servizi rappresentano un contraltare alla condivisione illegale online di musica, riducendo certamente il fenomeno e, dall’altro, danno vigore a taluni generi, come la musica classica, i cui ricavi hanno conosciuto una decisa crescita rispetto alle forme di sfruttamento tradizionale. Non solo, ai fornitori di servizi in streaming, le etichette musicali riconoscono un importante ruolo nell’emersione dei nuovi talenti. In quest’ottica, più che un canale o un mezzo di distribuzione, le piattaforme diverrebbero librerie da esplorare per conoscere la musica disponibile, salvo poi lasciare spazio e anzi integrarsi sinergicamente a prodotti fisici o digitali, oppure agli spettacoli dal vivo.
Eppure, quanto percepito come positivo dall’industria discografica, spesso, non è parimenti considerato da musicisti e autori. La dematerializzazione prodotta dallo streaming ha alterato il rapporto fra gli utenti della musica e l’oggetto musicale, ma per questa via ha inciso profondamente anche sul versante della produzione e della distribuzione.

Anzitutto la musica non rappresenterebbe più un veicolo d’identità. La musica liquida, accessibile senza limiti, sviluppa un pubblico più promiscuo, meno propenso ad atti di fideistica adesione, perché ogni scelta musicale non comporta un investimento monetario significativo – se rapportato soprattutto al costo dei supporti tradizionali – e nemmeno un investimento in tempo o ricerca. La nascita di un nuovo modello di utente onnivoro determina così un certo disagio tra gli artisti, che intravedono un rischio di banalizzazione dell’esperienza musicale e di superficialità del consumo rispetto al modello tradizionale in cui ogni scelta era il frutto di una ricerca o dell’emersione conquistata da parte dell’artista.
 
Chi si spartisce il guadagno. E come
Inoltre, è inutile nasconderlo, il tema maggiormente dibattuto è quello dell’equità distributiva dei guadagni generati dagli abbonamenti degli utenti e dalle inserzioni pubblicitarie. Numerose sono le crociate compiute da musicisti più o meno noti che hanno voluto combattere la diffusione dei servizi streaming a causa della scarsa remunerazione degli artisti. È indubbio che i musicisti, salvo le icone di grande successo, subiscano le remunerazioni per i contenuti da loro creati. Ciò che sanno è che frazioni di centesimo di euro sono corrisposte ai vari attori interessati dell’industria musicale quando ascoltiamo un loro brano, con un pagamento previsto per ogni singolo stream. Ciò che non riescono a conoscere sono i sistemi di ripartizione dei proventi definiti dalle principali etichette discografiche mondiali e coperti da accordi di riservatezza.
Nel clima d’insoddisfazione generale tra chi lavora nel settore, permeato da accuse reciproche che ostacolano un effettivo confronto tra le parti in gioco, la via dovrebbe essere la trasparenza. Nel luglio scorso il report pubblicato da Rethink Music, un progetto del Berklee Institute for creative entrepreneurship, ha raccomandato di rendere più trasparenti i contratti e le transazioni economiche del settore musicale, di semplificare i flussi di denaro e di migliorare l’uso condiviso della tecnologia per entrare in contatto con gli utenti.

Se queste proposte fossero giudicate troppo rivoluzionarie per essere accolte, una nuova occasione di affrontare la rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo andrebbe persa.
 

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