Figli di un euro minore
OPINIONI |

Figli di un euro minore

PERCHE' ITALIA E FINLANDIA CONTINUANO A NON CRESCERE

di Carlo Altomonte, direttore del World Bachelor in Business della Bocconi

Sono passati sei anni dall'esplosione della crisi del debito in Europa: nel 2010 la Grecia rischia il default, con una crisi che presto si estende a Portogallo e Irlanda, fino a colpire dal 2011 Spagna e Italia. Da lì la lunga serie di interventi che l'Europa tardivamente e faticosamente ha messo in campo, per arrivare nel 2015 al completamento dell'unione bancaria, alle azioni di allentamento quantitativo della Bce e al (definitivo?) pacchetto di salvataggio della Grecia. Tutto risolto? In realtà occorre fare una chiara distinzione tra due ambiti della crisi: da un lato la gestione della stessa, ossia la predisposizione di strumenti di garanzia (come il fondo salva-Stati) volti a evitare che i problemi sul mercato bancario e finanziario portino al fallimento di pezzi importanti dell'economia reale; dall'altro la risoluzione della stessa, ossia la definizione di un quadro di politica economica tale per cui sia possibile ritrovare crescita economica sostenibile nel nuovo contesto macro-finanziario. A oggi, sul fronte della gestione della crisi gli strumenti creati dalle istituzioni europee sembrano adeguati, mentre sul fronte della risoluzione il quadro è eterogeneo.

Grecia esclusa, i dati ci dicono che tutti i paesi europei nel 2015 sono tornati a registrare un tasso di crescita dell'economia superiore al +1%, con due eccezioni: Finlandia e Italia, che nel 2015 registrano tassi di crescita dello zero virgola. Più in generale, dallo scoppio della crisi nel 2008, questi due paesi hanno visto ridursi il valore del Pil reale del 6% e dell'8% rispettivamente, collocandosi in fondo a questa classifica in Europa. In effetti stupisce vedere affiancata all'Italia la virtuosa (ai nostri occhi) Finlandia: un paese con un rapporto tra Pil e debito pubblico pari a solo il 62%, ossia meno della metà di quello italiano; un rating da tripla A; una delle 10 economie più competitive del mondo.

Cosa accomuna allora Italia e Finlandia? A guardare questi numeri è difficile concludere che la colpa sia dovuta alla partecipazione alla moneta unica: altre economie come Irlanda e Spagna, che dell'euro continuano a fare parte, hanno superato la crisi e crescono a ritmi superiori al 2% l'anno. Ugualmente difficile risulta sostenere la tesi teutonica per cui bastano moneta unica e stabilità di bilancio pubblico per garantire competitività e crescita: la Finlandia è uno dei quattro paesi tripla A dell'area euro (secondo Moody's), eppure è in profonda crisi di crescita.
Piuttosto la Finlandia, come l'Italia, sconta il fatto che l'euro è uno strumento di politica economica, e come tutti gli strumenti può fare bene o male a una economia in base a come lo si usa. Accettare la moneta unica vuol dire sposare un preciso paradigma di politica economica per cui i guadagni di competitività non derivano dalle svalutazioni della moneta nazionale, ma piuttosto dagli investimenti in capitale (umano e tecnologico), dalla ricerca e sviluppo, dalla qualità, dalla flessibilità del mercato del lavoro e dei capitali, da un sistema pubblico efficiente. Tutte cose che la Finlandia, dopo la felice parabola di Nokia, sembra aver dimenticato. Tutte cose che l'Italia farebbe bene a imparare una volta per tutte.
 
 

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