E ora portiamo casa (e vita privata) in ufficio
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E ora portiamo casa (e vita privata) in ufficio

FEDERICO GOLLA, AD E PRESIDENTE DI SIEMENS, RACCONTA LA RIVOLUZIONE CULTURALE IN ATTO E COME CAMBIA IL RUOLO DEI LEADER

di Claudio Todesco

Siemens Italia sperimenta forme di lavoro agile dal 2011. Oggi i dipendenti che praticano su base volontaria lo smart working sono il 50% della forza lavoro, all’incirca 1.700 su 3.400. «Il nostro obiettivo è arrivare vicini al 100% di adesioni», afferma Federico Golla, amministratore delegato e presidente di Siemens, azienda partner del Diversity management lab di SDA Bocconi da anni impegnato a studiare e implementare il lavoro agile nelle organizzazioni. «Grazie allo smart working il numero di ore lavorate perde d’importanza rispetto al raggiungimento di un risultato. La cultura della performance sostituisce i vincoli spazio-temporali. I dipendenti lavorano meglio, sono più soddisfatti e quindi produttivi. L’azienda ha un vantaggio competitivo nell’attrarre nuove generazioni che apprezzano la concezione smart del lavoro. Il successo passa attraverso l’innovazione tecnologica e organizzativa».

Quali sono i cambiamenti necessari nel modello di leadership affinché lo smart working funzioni efficacemente?
Il leader deve imparare a guidare un gruppo di professionisti che non vede quotidianamente, serve uno sforzo aggiuntivo di lavoro in remoto che però alla fine paga. Ma il grande cambiamento culturale e psicologico riguarda la libertà nella gestione del lavoro: lo smart working lascia ampi margini d’iniziativa al singolo ed è una cosa che non tutti apprezzano o sono in grado di gestire, preferendo un modello gerarchico più strutturato. I concetti di delega e fiducia diventano cruciali.

­È un modello che funziona soprattutto per professionalità elevate?
Noi siamo partiti dalle professionalità, chiamiamole così, stanziali cui corrisponde normalmente un contenuto intellettuale superiore. Ma non c’è più distinzione fra colletti bianchi e blu, fra lavoro intellettuale e manuale. Il modello di smart working è applicabile a ogni dipendente che si connetta alla rete di colleghi tramite smartphone o computer.

­Serve una più diffusa cultura della responsabilità?
Sì e perciò va amplificato l’effetto di appartenenza, per esempio con un programma d’acquisto progressivo di azioni da parte dei dipendenti. Un azionista, per quanto minuscolo, ha una condotta lavorativa dettata da maggiore senso di responsabilità versi l’azienda. Dei 320mila dipendenti di Siemens nel mondo, il 50% circa possiede un’azione della società.

­ La concezione di ufficio individuale è obsoleta?
Non ha più ragione di esistere. All’interno dell’azienda, il lavoratore occupa di giorno in giorno, di ora in ora spazi fisici diversi, esattamente come in città passeggia, entra in un negozio, va in metropolitana. Cambia anche la concezione del tempo. Non c’è più la distinzione netta fra la sfera lavorativa e quella privata: nell’arco di una giornata un lavoratore può programmare liberamente quando passare dalla prima alla seconda. Ecco perché nella fase iniziale lo smart working è apprezzato soprattutto dalle donne che devono gestire l’attività lavorativa e il ruolo di madre.

Il lavoratore non corre il rischio di sentirsi isolato e/o temere di essere escluso dalle dinamiche aziendali?
Al contrario, la ridefinizione degli spazi aziendali incrementa le opportunità di conoscenza e di scambio fra colleghi. Siemens sta costruendo una nuova sede a Milano che tiene conto dell’esigenza di fruire del tempo libero sul luogo di lavoro, con palestra, spaccio alimentare, orti da affidare ai dipendenti. Un tempo si portava il lavoro a casa, oggi si porta il privato in ufficio.

­È un cambiamento culturale importante: l’Italia è pronta?
Non lo è. Siamo notoriamente lenti nell’adottare nuove tecnologie e modi d’operare. Ma se grandi aziende dotate di responsabilità sociale come Siemens non stimolano il cambiamento, chi altro lo farà?

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