Il cerchio della vita tra cicli e ricicli
OPINIONI |

Il cerchio della vita tra cicli e ricicli

AL MODELLO PRENDIUSAGETTA SI STA SOSTITUENDO QUELLO DELLA CIRCULARY ECONOMY, UN'ECONOMIA PROGETTATA PER AUTORIGENERARSI

di Fabio Iraldo, fellow presso lo Iefe Bocconi

L’obiettivo delle politiche pubbliche e delle strategie di molte imprese nel campo della sostenibilità ambientale si è negli ultimi anni orientato a rendere l’economia per quanto possibile circolare.
Il tema della circolarità dei sistemi di produzione e consumo non è nuovo. Già 20 anni fa Michael Porter sosteneva che «l’inquinamento è una forma di spreco economico, che implica l’utilizzo non necessario, inefficiente o incompleto di risorse. Le emissioni inquinanti sono un segnale di inefficienza aziendale e impongono attività che non generano valore».
Il modello del prendi-usa-getta, per due secoli dominante, è stato messo in discussione dalla crescita senza precedenti nella domanda di molte risorse naturali (si pensi per esempio ai metalli), il cui approvvigionamento si è rivelato limitato.
Nella teorizzazione che per prima ha proposto la Ellen McArthur Foundation, la circular economy è un’economia progettata per auto-rigenerarsi: i materiali di origine biologica rientrano nella biosfera e i materiali di origine tecnica sono progettati per circolare all’interno di un flusso che prevede la minima perdita di qualità, per favorirne il riutilizzo, il recupero o il riciclo.
 
➜ Lo studio del geo di iefe bocconi
Osservando l’attuale sistema produttivo, di consumo e, soprattutto, di recupero e valorizzazione degli scarti, si comprende come la situazione oggi sia ancora lontana dalla chiusura del ciclo, ovvero dalla possibilità di riutilizzare, recuperare o riciclare tutto ciò che è scartato: si pensi che entro il 2020 ancora 82 miliardi circa di tonnellate di materie prime verranno immesse nell’economia globale per essere sfruttate indiscriminatamente (circa il doppio delle attuali) mentre, specularmente, soltanto un terzo dei 60 metalli più diffusi negli impieghi industriali oggi fa riscontrare un tasso di riciclo a fine vita maggiore del 25%.
Se l’obiettivo è la riduzione degli sprechi e l’aumento della produttività degli input, cosa frena allora l’affermarsi spontaneo di un modello circolare?
Il Geo, Green economy observatory, dello Iefe Bocconi ha svolto un approfondimento di ricerca relativo alla circular economy, muovendo dall’identificazione delle principali cause alla base dei leakeges, ovvero di tutti quei punti del circolo in cui non vi è chiusura (riuso, recupero o riciclo dei materiali), ma una perdita di efficienza attraverso la fuoriuscita dal sistema produttivo o di consumo di materiale ancora utile e valorizzabile.
Le cause della mancata valorizzazione degli scarti sono molteplici e possono riguardare tutti gli attori a vario titolo coinvolti nella gestione dei flussi di materiali che attraversano le varie fasi del ciclo di vita dei prodotti e dei servizi sul mercato: asimmetrie informative sugli impatti ambientali causati da un prodotto/servizio, ottica di business a brevissimo termine, bias di prezzo (che non è in grado di riflettere i costi legati all’impatto ambientale), abitudini di acquisto, freni all’innovazione, spesso in grado di inibire lo sviluppo di soluzioni che possano consentire un alto tasso di recupero delle materie prime seconde (quelle derivanti dagli scarti). Non sono rare, infine, anche limitazioni normative che possono rendere difficile la chiusura dei cicli e quindi la circolarità dei processi industriali (es. vincoli normativi all’utilizzo delle materie prime seconde).
 
➜ Gli incentivi a consumatori e imprese
Se non vi sono incentivi per il consumatore ad acquistare prodotti in materiale riciclato, lo sforzo di produrne di più sarà vano. Se non vi sono incentivi in grado di fungere da driver per l’innovazione tecnologica nella produzione e nell’impiego di nuovi polimeri e materiali plastici di recupero, il mercato italiano rimarrà al palo, legato alla sola possibilità di utilizzare il pet come materia prima seconda.
Ciò riporta al punto di partenza, incardinato nella teoria di Porter: «Solo una regolamentazione ambientale, ben progettata e opportunamente costruita, è in grado di innescare l’innovazione, di generare efficienza evitando la produzione di scarti e rifiuti inutili, o recuperandoli ove possibile, e, di conseguenza, incoraggiare fortemente la competitività delle imprese, compensando in parte o del tutto il costo della dovuta conformità legislativa».
 

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