Al centro della musica (digitale)
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Al centro della musica (digitale)

VERONICA DIQUATTRO, LAUREATA IN INTERNATIONAL MANAGEMENT ALLA BOCCONI, E' LA GIOVANE RESPONSABILE DEL MERCATO ITALIANO DI SPOTIFY, IL PRIMO SERVIZIO DI STREAMING MUSICALE ON DEMAND. PER LEI LA SFIDA E' TROVARE IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA FASTER E BETTER E ESSERE UN PASSO AVANTI NELLE INNOVAZIONI SENZA MAI RINUNCIARE ALLA QUALITA'

L’ultima volta che Veronica Diquattro ha camminato tra i volumi flottanti dell’edificio di via Roentgen era una studentessa di International management. «L’avevano appena costruito», ricorda guardandosi attorno. «Venivo a discutere i contenuti della tesi». Sei anni dopo, è la responsabile del mercato italiano di Spotify, il servizio di streaming musicale on demand che conta 60 milioni di utenti nel mondo, di cui 15 a pagamento. Nel 2006 Spotify era una startup fondata a Stoccolma da Daniel Ek e Martin Lorentzon con l’idea di offrire uno strumento per ascoltare musica legalmente. Oggi è disponibile in 58 paesi, è sinonimo di streaming on line e propone un modello di business basato sulla logica freemium che potrebbe salvare un mercato in cui calano sia gli acquisti di dischi , sia il download a pagamento. In Italia Spotify è arrivato nei giorni del Festival di Sanremo 2013. «La discografia ci ha accolti come una speranza». «La prima sede era casa mia, qui a Milano: io e un computer portatile. Non avevo una sala riunioni perciò ricevevo gli ospiti in una California Bakery. Ora abbiamo una sede in Corso Italia dove lavorano dieci persone».
 
Prima di approdare a Spotify ha lavorato a Google come on line media strategist. Quali sfide si è trovata a gestire in aziende ad alto tasso d’innovazione?
La ricerca di un equilibrio tra faster e better, la necessità di essere i primi a lanciare innovazioni senza perdere di vista la qualità. La formazione ricevuta in Bocconi mi ha aiutata. Il modo in cui qui si affrontano gli studi riproduce le sfide e le complessità tipiche del mondo del lavoro. In Bocconi ho imparato a essere orientata ai risultati, ad affrontare le deadline, a sviluppare il pensiero strategico.
 
Quali sono i margini di autonomia di Spotify Italia rispetto alla casa madre?
La strategia è decisa a livello globale, ma abbiamo piena autonomia in comunicazione, marketing, partnership. È necessario per stimolare il coinvolgimento dei clienti.
 
Quali sono le specificità del nostro mercato?
In Italia la pirateria digitale è a livelli altissimi: più del 70% delle connessioni household sono usate ogni anno per scaricare musica illegalmente. Qualcosa sta cambiando: l’anno scorso, dopo 25 anni, l’Italia è uscita dalla watch list statunitense dei Paesi con forti criticità nel settore della proprietà intellettuale, e questo in virtù del nuovo regolamento Agcom sulla tutela del diritto d’autore. Scontiamo anche la modesta penetrazione della banda larga e la bassa diffusione dei pagamenti con carta di credito e on line.
 
Le classifiche tengono conto del numero di streaming effettuati su piattaforme come Spotify. Siamo passati dall’era dell’acquisto a quella dell’accesso?
L’idea dell’accesso senza limiti risponde a un cambiamento nei consumi. Che si tratti di musica, libri, film o news, gli utenti vogliono avere a disposizione un ampio catalogo di contenuti digitali accessibili istantaneamente da qualunque dispositivo. All’interno di questa nuova modalità di consumo va trovato il modello di business vincente.
 
Il modello di Spotify prevede la distribuzione di circa il 70% degli introiti a etichette discografiche e aggregatori che a loro volta ne riconoscono una parte agli artisti. I ricavi pubblicitari danno origine a guadagni modesti, perciò la sostenibilità del sistema dipende dalla crescita del numero di utenti premium. Quali strategie adottate perché avvenga?
Il tasso di conversione degli utenti free in modalità premium è già molto alto: oltre il 20%. Oggi l’80% degli abbonati a pagamento provengono dalla parte free. Come li si invoglia a fare il passaggio? Dando loro sempre più musica gratuita attraverso promozioni, bundle come quello con Vodafone, periodi di prova. Bisogna aumentare l’engagement del cliente. Va migliorato il prodotto, in modo che l’utente si renda conto dei vantaggi derivanti dall’ascoltare musica in un contesto legale e di qualità. I 60 milioni di utenti nel mondo di Spotify non sono molti rispetto a quelli di YouTube. Ma cosa accadrebbe se i consumatori di YouTube si spostassero su Spotify? Quali guadagni si genererebbero?
 
Spotify ha distribuito 2 miliardi di dollari ai titolari dei diritti. Gli artisti, però, si lamentano degli introiti modesti. Si stima che ogni canzone ascoltata in streaming generi un ricavo fra i 6 e gli 8 millesimi di dollaro. Alcuni esprimono il timore che Spotify sia un altro modo per regalare musica. Perché gli artisti dovrebbero darvi fiducia?
Noi riconosciamo il valore della loro opera, è la mission di Spotify. Del resto, quali sono le alternative? Servizi di streaming che producono molto meno valore oppure la pirateria. Pensare che non concedere la propria musica a Spotify abbia l’effetto di incrementare le vendite è anacronistico. E poi, al di là dei guadagni che genera, Spotify stimola i canali correlati, dal merchandising ai concerti.
 
Quanto è importante l’analisi dei dati?
È fondamentale. Permette di anticipare le tendenze, migliorare la user experience. Ecco perché abbiamo acquisito la società di intelligent data Echo Nest. La sfida è far sì che l’utente scopra canzoni che desidera ascoltare.
 
Lo streaming è in crescita: nel 2013 valeva il 12% del mercato discografico italiano, nel 2014 il 22%. Altri servizi sono sul mercato e anche Apple si prepara a scendere in campo. Come contrastate i competitor?
Puntiamo sulla qualità del prodotto e sulla scoperta della musica attraverso tre livelli: l’interazione social degli utenti; l’algoritmo che suggerisce nuova musica in base agli ascolti effettuati; contenuti editoriali di valore volti a creare la playlist giusta per ogni stato d’animo. Vogliamo integrare Spotify in ogni momento della vita quotidiana, far sì che la musica ci segua ovunque andiamo. L’accordo che abbiamo stretto con Uber va in questo senso.
 
Esistono un solo Facebook e un solo Amazon. Resterà una sola piattaforma streaming?
Su Internet c’è totale trasparenza delle offerte sul mercato. Rimarrà il migliore, ma non spariranno altre forme di consumo della musica, come i compact disc. I top album della classifica di Billboard sono gli stessi di Spotify: chi desidera comprare un disco non smetterà di farlo dopo averlo ascoltato in streaming.
 
Il futuro dello streaming è nello smartphone?
Il 53% dello streaming avviene su smartphone e tablet e non su desktop e così abbiamo creato la free tier per mobile. Era una sfida rischiosa, ma ha generato un incremento percentuale degli utenti premium. È la conferma della nostra teoria: più musica offri, più la gente è disposta a pagarla.
 
 

di Claudio Todesco

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