OPINIONI |

Niente credito, niente export

NUOVA LUCE SUL RUOLO DELLA FINANZA NEGLI SCAMBI CON L'ESTERO

di Gianmarco Ottaviano, ordinario di economia politica alla Bocconi e coordinatore del PhD in economics and finance della Bocconi

Uno degli aspetti che più colpiscono della crisi finanziaria del 2008 è il crollo del commercio internazionale. In tempi normali prevederne i flussi non è molto difficile. Usando modelli standard l’implicazione è sempre pressappoco la stessa: gli scambi commerciali tra paesi seguono l’andamento del loro pil, crescono durante i periodi di vacche grasse, quando i paesi domandano e producono di più, diminuiscono durante quelli di vacche magre, quando domanda e produzione si contraggono. Questo è successo anche durante la recente crisi finanziaria. Tuttavia, il calo delle esportazioni è stato quasi quattro volte più pronunciato del calo del pil, molto maggiore di qualunque previsione derivabile dai modelli standard.

Che cosa manca in questi modelli di rilevante importanza durante una crisi finanziaria? Solo di recente la risposta più semplice sta prendendo piede: “Manca la finanza”, cioè un’attenta considerazione a come si svolgono concretamente le transazioni commerciali internazionali.
 
L’idea di base è semplice. Poiché spedire un bene da un esportatore a un importatore richiede tempo, il bene stesso non può essere consegnato istantaneamente nel momento in cui si sigla il contratto di compravendita. Mentre uno tra importatore ed esportatore ha la proprietà del bene durante il periodo di spedizione, la controparte deve ricorrere a qualche forma di finanziamento poiché il bene non può essere venduto nel paese dell’importatore immediatamente dopo l’avvenuta produzione nel paese dell’esportatore. Per questo motivo, secondo stime recenti, il 90% delle transazioni internazionali comporterebbe il ricorso a una banca o altra istituzione finanziaria per ottenere credito, assicurazione o garanzie.
 
Lo stesso problema si pone anche per le compravendite effettuate all’interno di uno stesso paese. Tuttavia, per le transazioni internazionali la questione è più complessa a causa di rischi aggiuntivi, legati a contenziosi giurisdizionali, differenze di sistemi contabili nonché di lingua e cultura. Pertanto, quando il credito viene a mancare, ne risentono soprattutto le esportazioni e le importazioni, riducendo il commercio internazionale indipendentemente dal pil.
 
Mentre l’idea è semplice, la sua verifica fattuale lo è molto meno. È difficile separare causa e effetto. Inoltre, le misure tradizionali di disponibilità di credito al commercio internazionale a livello aggregato sono imprecise. Un recente studio di Mary Amiti della Federal Reserve Bank e David Weinstein della Columbia University (Exports and financial shocks, 2009) supera queste difficoltà usando dati disaggregati su banche e imprese clienti durante le crisi finanziarie giapponesi degli anni Novanta. Questo lavoro è il primo a mettere in relazione le singole imprese con le specifiche istituzioni creditizie che ne finanziano l’attività di esportazione, permettendo di stabilire un nesso causale tra lo stato di salute di tali istituzioni e l’evoluzione delle esportazioni delle imprese clienti. Lo studio dimostra che lo stato di salute delle banche ha un impatto maggiore sulle esportazioni che sulle vendite domestiche, determinandone una diversa reazione alle crisi finanziarie. Inoltre, rileva che la contrazione del credito spiega circa un terzo del crollo delle esportazioni durante le crisi finanziarie giapponesi degli anni Novanta.
 
Il caso del Giappone offre un esperimento interessante per capire la recente crisi. Infatti, come quella giapponese, la crisi finanziaria del 2008 è scaturita da bolle speculative nei mercati immobiliare e azionario, che si sono poi diffuse al settore bancario, colpendo alcune banche più di altre. Questa asimmetria permette di paragonare l’evoluzione delle esportazioni di imprese clienti di banche che hanno sofferto della crisi in modo diverso. Quello che ancora manca sulla crisi del 2008 sono dati disaggregati su banche e imprese clienti. Quando questi diventeranno disponibili, è facile immaginare che la loro analisi ci dirà che il ruolo fondamentale della finanza per il commercio internazionale non potrà più essere trascurato.

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