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Nuova guerra fredda, vecchio nemico: la Russia

INTOLLERANZA DEL DISSENSO, APERTA OSTILITà NEI RIGUARDI DEI VICINI PIù DEMOCRATICI E UN USO SELETTIVO DELL’ENERGIA PER DIVIDERE L’OCCIDENTE FANNO DELLA RUSSIA UN PERICOLO, SECONDO EDWARD LUCAS

Edward Lucas
La nuova guerra fredda
Il putinismo e le minacce per l’Occidente
Università Bocconi editore, 2009
360 pagine, 22,50 euro

La Russia di Putin è entrata in rotta di collisione con l’Occidente, ma Europa e America sembrano non essersene accorte. Con l’etichetta di “democrazia sovrana” si sta sviluppando un sistema autoritario, portatore di un’ideologia antidemocratica e antioccidentale, non scevro da tentazioni imperialistiche, come dimostrano l’attacco alla Georgia dell’agosto 2008 e il braccio di ferro con l’Ucraina per le forniture di gas. Gli assassinii di Anna Politkovskaja e Aleksandr Litvinenko, rilevanti per l’eco che hanno avuto in Occidente più che per la loro eccezionalità, dimostrano invece la determinazione del regime russo a non tollerare il dissenso.

A lanciare questo “atto di accusa” (come lo definisce Sergio Romano nella prefazione all’edizione italiana) alla Russia è Edward Lucas, un giornalista dell’Economist che copre i fatti dell’Europa orientale dal 1986, nel suo La nuova guerra fredda. Il putinismo e le minacce per l’Occidente (Università Bocconi editore, 2009, 360 pagine, 22,50 euro).

La Russia di Putin offre uno stridente contrasto con quella, degli anni ’90, di Eltsin. Quella godeva di un pluralismo relativamente ampio e si avviava a diventare un partner politico dell’Occidente, ma a costo di una forte instabilità economica; questa è più stabile e più ricca, ma ha sacrificato le libertà civili e ogni velleità di confronto con il resto del mondo. Dopo la conclusione dell’epoca sovietica, tornano a diffondersi il controllo dei media, soprattutto televisivi, e l’utilizzo della psichiatria nel trattamento dei dissidenti.

Lucas ricostruisce l’ascesa al potere di Putin, facendo luce su episodi troppo spesso dimenticati. Le bombe esplose in condomini popolari di tutta la Russia all’indomani della scelta di Putin come primo ministro di Eltsin furono attribuite ai separatisti ceceni, ma il ritrovamento di un ordigno inesploso a Ryazan, subito ricondotto a uomini dell’Fsb, il servizio interno erede del Kgb, solleva più di qualche dubbio. Né sembra convincente la spiegazione ufficiale, secondo cui si sarebbe trattato di un’esercitazione.

La transizione da Eltsin a Putin avrebbe segnato, secondo Lucas, il passaggio di potere dagli oligarchi all’apparato degli ex servizi segreti sovietici e dall’apertura all’Occidente a una chiusura quasi autarchica, basata su ordine e benessere, intollerante di ogni modello alternativo che potrebbe affacciarsi nell’area di influenza russa. È per questo che gli attacchi diplomatici, economici e militari più violenti si dirigono verso Georgia, Ucraina ed Estonia, con la Moldova a costituire un ulteriore centro di crisi. Un’altra delle verità quasi sempre taciute è che i russi dell’Ossezia del Sud, in soccorso dei quali Mosca avrebbe invaso la Georgia nell’agosto del 2008, sono tali solo per passaporto. Si tratta infatti di una popolazione di origine e lingua iranica.

L’economia, sostenuta dagli alti prezzi degli idrocarburi degli ultimi anni, è il motivo per cui sia i russi, sia gli stranieri, tollerano comportamenti tanto autoritari. La marginalizzazione degli oligarchi e una più bilanciata distribuzione della ricchezza mettono a tacere il fronte interno, mentre l’utilizzo selettivo della carota energetica è sufficiente a dividere un fronte occidentale più attento alle questioni di portafoglio che a quelle di principio. Il denaro è il punto di forza della Russia e la debolezza dell’Occidente, secondo quanto scrive Lucas, che esorta invece Europa ed America a ricordarsi dei propri valori fondanti quando trattano con Mosca.

LEGGI l’introduzione di Sergio Romano

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di Fabio Todesco

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