OPINIONI |

Il dirigente preposto ha trovato il suo ruolo, non la credibilità

I SISTEMI DI CONTROLLO FUNZIONANO SE VI SI ADERISCE IN MODO SOSTANZIALE. INVECE L’APPROCCIO ALLA NORMA è SOLTANTO FORMALE

di Emilia Merlotti e Antonio Marra, ricercatori dell'Osservatorio di revisione della Sda Bocconi

I numerosi crack finanziari che hanno interessato grandi realtà aziendali sia italiane che estere (Enron, Parmalat e Cirio, per citare alcuni esempi) hanno portato il legislatore, anche sulla spinta emotiva di tali eventi, all’introduzione di numerose novità in tema di corporate governance.

La proliferazione di norme sull’argomento ha dato vita ad un sistema che appare talvolta poco coordinato, nel quale le fonti normative risultano in parte sovrapposte e nel quale è, in ogni caso, difficile intravedere un disegno organico ed articolato da parte del legislatore.

È evidente come le imprese, travolte da un sistema di regolamentazione che ha visto un crescendo imponente nell’ultimo decennio, abbiano risposto alla domanda di compliance approcciando al controllo nella sua componente formale. Gli attori coinvolti, indipendentemente dall’aver sviluppato internamente o acquisito dall’esterno technicality, non sono riusciti a cogliere a pieno il fatto che i sistemi di controllo sono efficaci ed efficienti se inseriti in un ambiente di controllo sano.

Proprio il susseguirsi di norme ha quindi spinto le imprese verso obiettivi di breve periodo trascurando, invece, l’investimento in quella cultura del controllo che permetterebbe di cogliere obiettivi di medio-lungo termine e stimare gli effetti positivi, diretti e indiretti, della regolamentazione. In questo quadro generale si inserisce perfettamente anche la legge sulle “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”, con particolare riferimento al dirigente preposto (dp), ovvero il responsabile per la predisposizione di tutti i documenti contabili delle società quotate.

Pur nascendo con un obiettivodi sicuro interesse per la comunità finanziaria, questa norma sembra ancora in una fase embrionale. Una survey e alcune analisi empiriche condotte dall’Osservatorio di revisione della Sda Bocconi, in collaborazione con Deloitte, sulle società soggette alla norma, mostrano come le imprese stiano rincorrendo il dettato normativo, piuttosto che applicarlo in un’ottica dinamica.

Dalla ricerca emerge che solo il 15% delle società si aspetta un’ottimizzazione dei processi operativi e una riduzione dei costi di struttura, il 21% crede che vi sarà una maggiore attendibilità dei dati di bilancio e credibilità della società sul mercato finanziario, mentre solo un’azienda su tre si aspetta maggiore efficienza operativa dei processi contabili e di formazione del bilancio.

Questi pochi dati, uniti al fatto che meno di un quarto delle società ha introdotto indennità specifiche per la funzione e che solo nel 37% dei casi la società ha stipulato una polizza assicurativa per garantire il dirigente stesso, sembrano confermare che la norma nel suo insieme, ed il dp in particolare, non sono ancora a pieno regime. Non sono state valorizzate le potenzialità del nuovo dettato così come si è ancora lontani dal valorizzare le grandi responsabilità ed il ruolo chiave del dp. Altri dati empirici mostrano un sistema impresa che guarda alle norme secondo una compliance view piuttosto che una opportunity view, come sarebbe invece auspicabile. Resta inteso che il ruolo dinamico della norma porterà le imprese, nel medio termine, a prendere coscienza dei benefici della normativa per il sistema impresa. Le aziende sono oggi di fronte a una scelta strategica: possono continuare a pensare alla compliance normativa come, da un lato, a un mero obbligo a cui adempiere oppure, dall’altro, come a un’opportunità per migliorarsi.

Un obiettivo sfidante attende anche il legislatore. Egli dovrà convogliare gli sforzi verso la razionalizzazione delle norme inerenti la corporate governance nel suo insieme, così da creare un vantaggio tangibile per le imprese che ne sono soggette, evitando che prevalga la percezione che in Italia vi sia un sistema disorganico che crea burocratizzazione senza generare valore per il sistema impresa.

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