Vivere nella bolla di Algeri tra contrasti e possibilita'
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Vivere nella bolla di Algeri tra contrasti e possibilita'

UNA CAPITALE IN TRANSIZIONE VERSO LA MODERNITA' MA CON ANCORA RETAGGI DEL PASSATO. QUESTA E' ALGERI SECONDO ROBERTO DEPLANO, LAUREATO CLEFIN NEL 2007, CHE DAL 2014 VIVE E LAVORA NELLA METROPOLI NORDAFRICANA

L’Algeria democratica e indipendente, con i suoi 53 anni di esistenza e quasi un terzo della popolazione sotto i 15 anni, è un paese giovane ma dalle origini antiche, visto che l’etnia autoctona berbera è stata affiancata, nei secoli, da fenici, cartaginesi, romani, vandali e bizantini, arabi, turchi e francesi.
Il paese vanta enormi riserve petrolifere e di gas naturale che da sole alimentano il 98% delle esportazioni e il 36% del pil e hanno permesso di creare riserve in valuta estera che coprono oltre 3 anni di importazioni e contenere il debito pubblico esterno all’1,5% del pil.
Una tale ricchezza però è anche causa di molti mali. La forte dipendenza dalle importazioni ha atrofizzato sia l’apparato industriale sia quello agricolo. Inoltre il governo non riesce a eliminare i sussidi sui beni di prima necessità, instaurati negli anni ’70, che hanno “comprato” la pace sociale dopo gli anni della guerra civile ma ad oggi assorbono più del 10% del pil. Con la benzina verde sotto i 20 centesimi di euro al litro, si fa il pieno col sorriso ma l’uso delle macchine è talmente economico che il sorriso ha vita breve e si perde nel traffico infernale della città. Il pane è talmente a buon mercato che con la stessa frequenza si vedono sia persone con una decina di baguette sotto braccio e sacchetti dell'immondizia carichi dello stesso pane andato a male.
In ogni caso lo stile di vita, anche per i meno fortunati, è dignitoso e non si vedono quelle sacche di povertà estrema tipiche di tanti altri paesi.
Algeri, pur mantenendo l’aria europea dallo stile coloniale francese, è una tipica capitale africana, caotica e sovrappopolata. La frenesia tipica delle ore diurne lascia il posto a una calma assoluta durante la notte, abitudine nata in seguito al severo coprifuoco in vigore durante la guerra civile. Tale caratteristica si inverte nel mese del Ramadan e le giornate trascorrono tranquille fino al tramonto quando si sente l'Adhan (chiamata alla preghiera) e si può rompere il digiuno.
Il turismo non è sviluppato e la gente accoglie lo straniero a braccia aperte dandogli modo di entrare in contatto con l’anima più profonda del paese con relativa facilità. Domandare indicazioni stradali e ritrovarsi in un taxi pagato, chiedere due uova al vicino e ricevere anche un piatto di couscous, scambiare due parole in un bar e trovarsi il conto pagato, sono normali esperienze di ogni straniero un po’ “outgoing”.
L’entusiasmo iniziale si scontra però con una realtà quotidiana spesso dura. Ad esempio, una burocrazia asfissiante può trasformare banali procedure amministrative in vere battaglie contro i mulini a vento o una marcata carenza di luoghi di svago come bar, campi sportivi o passeggiate, sempre eredità della guerra civile, spinge i nuovi arrivati a ritagliarsi i propri spazi e vivere in una sorta di "bolla".
Con la giusta tenacia, però, si riesce ad uscire da questo vicolo cieco e a trovare un nuovo equilibrio. Diventa normale fare della corsa per il quartiere passando di fianco a quattro postazioni di polizia e un checkpoint, sentirsi dire sempre “sì” e capire tra le righe quando vuol dire “no”, aiutare e chiedere aiuto in una sorta di reciprocità continua.
Si inizia così a conoscere la faccia nascosta dell’Algeria, con le sue immense opportunità di sviluppo e la sua voglia di riscatto. Un tempo forse il paese più difficile del Nord Africa e ora leader in tema di sicurezza e con un “business climate” in forte miglioramento grazie alle misure del governo a sostegno dello sviluppo economico e dell’attrazione di capitali stranieri.
 
 

di Roberto Deplano

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