Capire il melograno per capire Kabul
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Capire il melograno per capire Kabul

VIVERE IN MEDIO ORIENTE, UN FRUTTO COME FILO CONDUTTORE TRA PAESI VICINI E LONTANI

Anar è il nome persiano del melograno. E' una di quelle parole affascinanti che viaggiano nel tempo e nello spazio: dal Medio Oriente fino all'India passando per l'Afghanistan è una parola condivisa dal farsi, il curdo, il dari, l'urdu e l'hindi.
C'è qualcosa di magico e poetico nascosto nel melograno: è un frutto carico di significati simbolici che compare nelle mitologie di mezzo mondo. Per gli antichi greci e romani era il frutto dei morti, nella cristianità rappresenta la resurrezione dopo la sofferenza, nella tradizione ebraica è simbolo di fertilità e della terra promessa e nel Corano è nominato come uno degli esempi delle cose belle create da Dio.
Negli ultimi anni, il melograno è stata una presenza costante nella mia vita: stranamente associata alla vita nei paesi in conflitto e, allo stesso tempo, alle sensazioni positive dei piccoli piaceri che rendono speciale la nostra esistenza.
Il ricordo del sapore del melograno è legato a geografie e immagini vivide e precise.
Dopo il suo primo viaggio in Palestina, mia mamma è tornata a casa affascinata dalla scoperta del succo di melograno appena spremuto. Un colore indimenticabile, un sapore ricco e dissetante. E nel corso dei racconti abbiamo finito per accorgerci che, in anni diversi, ci eravamo fermate allo stesso banchetto. A Gerusalemme Est, nella città vecchia, sulla destra poco dopo aver attraversato la Porta di Damasco.
O in Kurdistan, dove il melograno è l'orgoglio di Halabja, la città che è diventata il simbolo del genocidio curdo e che vanta di produrre i frutti più buoni del mondo. E, in effetti, il sapore del melograno mangiato lì è difficile da dimenticare. In cima ad una collina, con la luce dorata del tramonto, dopo la visita al cimitero dove sono sepolte le vittime dell'attacco di Saddam Hussain col gas nervino, con Ayub, che ha lavorato per il New York Times e ci racconta delle bombe su Baghdad durante la Seconda Guerra del Golfo.
E adesso in Afghanistan, dove il melograno aiuta a ricordare il tempo che passa, come uno dei segni delle stagioni che cambiano e dell'arrivo dell'autunno – il terzo che passo in questo paese. Tempo fa, una giornalista mi ha chiesto qual è il sapore di questo paese che mi mancherà di più quando andrò via. Ho risposto “il melograno” senza neanche fermarmi a pensare. Il primo della stagione – quello speciale, di Kandahar – con Andrea, parlando del futuro, nel giardino di casa sua a Herat. E ancora sotto una pergola a Istalef, il paesino arrampicato sulle montagne, dove si producono le ceramiche blu, raccolto dall'albero e mangiato, affacciati su una valle sospesa nel tempo. O i tre alberi nel giardino di casa mia a Kabul, dove i frutti diventano rossi e le foglie cadono annunciando l'arrivo di una nuova stagione.
 

di Francesca Recchia, docente di cultural mediation alla Bocconi

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