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Il miglior federalismo? La solidarietà finalizzata

E’ LA RICETTA DI FABRIZIO PEZZANI, ORDINARIO BOCCONI, SU UN TEMA ORMAI NON PIù RINVIABILE

“Se non fosse che il termine ‘federalismo’ evoca immediatamente un partito politico, parlarne sarebbe più facile. E allora tutti, anche i politici o perlomeno quelli che hanno realmente a cuore la salute economica del nostro paese, converrebbero che si tratta della soluzione migliore per uscire dall’attuale fase di stallo”. A esserne convinto è Fabrizio Pezzani, professore ordinario di programmazione e controllo nelle pubbliche amministrazioni all’Università Bocconi, tanto da aver quasi ultimato un libro (titolo provvisorio Il patto di lucidità) che tratterà di questo delicato argomento. Le ragioni, secondo Pezzani, per passare al federalismo fiscale sono molteplici, ma si possono sintetizzare in tre punti: “Il primo punto è che in un contesto ambientale di veloce cambiamento, con la globalizzazione che ha favorito il contatto tra soggetti portatori di interessi diversi (sociali, religiosi, politici, economici), si richiede alle organizzazioni pubbliche e private un’elevata flessibilità e capacità di decisione, più facilmente riscontrabile nel modello federale”. La seconda ragione è di tipo storico. “Noi non abbiamo mai avuto un ‘impero’, come per esempio la Spagna, la Francia e la Germania”, prosegue Pezzani. “Lo stato unitario non è coerente con la nostra storia nazionale e le differenze sul territorio sono marcate, molto di più che nei paesi prima menzionati. Basti pensare alla Lombardia e al Veneto, per esempio, che furono in passato governati dall’Austria, il cui modello di pubblica amministrazione era così efficiente da consentirle di sopravvivere nonostante le ripetute sconfitte militari.

La terza buona ragione è che il modello delle autonomie incarna in modo più coerente la democrazia rappresentativa, quella della polis ateniese. Le autonomie costituiscono esempi di molteplici polis ateniesi”, spiega Pezzani, “legate da una logica di ‘bottom up’. Noi invece abbiamo oggi una democrazia ‘top down’, e questo rappresenta uno scollegamento tra paese reale e paese istituzionale”.
Le politiche degli ultimi esecutivi, invece, hanno tutte confermato una tendenza all’accentramento. Lo stato incassa la maggior parte dei tributi e li distribuisce quindi agli enti locali, ed è lo stato a definire i bisogni e le priorità, non gli enti locali. I quali, a loro volta, sovrastimano le entrate per avere bilanci in pareggio: le entrate non incassate diventano quindi residui attivi che vanno ad accumularsi negli anni, mancando un vero controllo da parte dello stato centrale.

“La mancanza di controllo disincentiva quindi gli enti locali a gestire bene i propri soldi, anzi ‘premia’ chi non lo fa, il quale l’anno successivo richiederà sempre la medesima cifra ‘gonfiata’. L’autonomia ha invece la possibilità di inchiodare gli amministratori alle proprie responsabilità”. Secondo Pezzani, infatti, il problema centrale di tutta la questione è che manca una vera opera di controllo da parte dello stato su come gli enti locali spendono quanto loro assegnato, con il risultato di accrescere, invece di diminuire, le differenze in termini di ricchezza e quindi di servizi tra le varie aree del paese. “Non possiamo creare cittadini di serie A e cittadini di serie B”, spiega il professore della Bocconi, “ogni regione ha diritto ad avere ospedali, università e servizi il più efficienti possibili, ma le risorse sono molto diverse”. Il Veneto e il Friuli, per esempio, contribuiscono a circa il 12% del pil del paese e sempre il Friuli registra tassi di crescita dell’export di circa il 10% l’anno. “Le regioni che non hanno tali possibilità vanno aiutate”. E qui entra in gioco il discorso del federalismo solidale. Sul quale, però, Pezzani ha molti dubbi. “Spesso se ne parla a sproposito”, dice, “il federalismo solidale rischia di essere solo una ‘sciacquatura’ se non si pongono vincoli precisi. I territori bisognosi devono dimostrare di avere gestito bene le proprie risorse e i soldi o i servizi che verranno dati vanno impiegati per le necessità del territorio, non per fini politici. Più che di federalismo solidale, quindi, ritengo si debba parlare di solidarietà finalizzata”. Perché, altrimenti, l’eventualità, o meglio il paradosso, è che si rischi di dividere ancor più, piuttosto che avvicinare. Non è tanto lontano dalla realtà pensare ad un governo di un colore che invii soldi a una regione di colore diverso e che questa li usi, invece che per migliorare i servizi, per creare consenso politico secondo la peggiore logica clientelare. “Spesso finora ha funzionato così”, aggiunge ancora Pezzani, “proprio per quella mancanza di capacità di controllo di cui ho parlato prima”. Eppure in Europa i buoni esempi non mancano. La Spagna, per esempio, dove su ogni 100 euro di finanziamento circa 58 provengono da entrate proprie delle regioni e gli altri 42 da entrate incassate dallo stato e poi parzialmente girate alle regioni. Più in dettaglio, le Comunità autonome a regime normale, attraverso i parlamenti regionali, possono stabilire politiche economiche, fiscali e di bilancio per circa il 35% delle loro entrate, arrivando al 58% prima citato se si considerano le compartecipazioni sui contributi statali. Le Regioni speciali (come, per esempio, i Paesi Baschi) hanno addirittura maggiori competenze. “Quello spagnolo è un buon modello di federalismo che si fonda sul fatto che le aree territoriali hanno chiarezza delle proprie responsabilità, così come avviene anche in Germania con i Lander. C’è trasparenza rendicontabile e vi sono sanzioni nei confronti degli enti locali poco virtuosi”. Quello che manca in Italia.

“Ma quello che manca nella nostra politica”, è l’amaro commento di Pezzani, “sono buone idee, buone visioni e buoni scenari e, soprattutto, buoni esempi”.

 

 



di Davide Ripamonti

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