Saremo migliori se sapremo fare rete
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Saremo migliori se sapremo fare rete

E PER GESTIRE AL MEGLIO EFFICIENZA NELL'USO DELLE RISORSE ED AFFIDABILITA' OPERATIVA LA CHIAVE E' L'EQUILIBRIO SECONDO UNA VISIONE DI LEAN MANAGEMENT, COME SPIEGA L'ALUMNUS STEFANO MANFREDI, DIRETTORE GENERALE DELL'ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI DI MILANO

In molti ambiti esiste un prima e un dopo la pandemia. A maggior ragione nella sanità, dove l’epidemia ha posto sfide inedite a sistemi, professionalità, organizzazioni, manager. Saprà il settore uscirne migliore? “Sì se sapremo affrontare con lucidità una riflessione ad ampio raggio su quanto accaduto e quanto è da cambiare”, afferma Stefano Manfredi, manager della sanità formatosi nei corsi e nei master della SDA e oggi dg dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. “Quanto è accaduto in Lombardia, per esempio, è da valutare per attenuare la centralità dell’ospedale nel sistema a favore della creazione di una rete più ramificata. Allo stesso modo non dobbiamo più confondere l’eccellenza con la specializzazione: si può fare un’assistenza domiciliare integrata di qualità, dunque un’eccellenza, e avere un polo di cardiochirurgia inefficiente.

Prossimità e accentramento sono due delle dinamiche che stanno ridisegnando la distribuzione della sanità sul territorio, come si trova il giusto equilibrio?
Alcune funzioni devono essere concentrate, altre distribuite sul territorio e avvicinate al cittadino. È giusto chiudere le chirurgie con pochi interventi, ma al contempo dobbiamo aprire più punti di terapia sul territorio. Mi spiego: all'istituto dei tumori si può effettuare l’intervento e disegnare il percorso di cura, ma la chemioterapia si deve poter fare il più vicino possibile al proprio domicilio. Questo non significa creare una medicina o una chirurgia di serie A e una di serie B, ma semplicemente una di maggiore e una di minore complessità.
L'iper-efficienza richiesta sempre più alle strutture pubbliche e l'affidabilità operativa sono obiettivi in contraddizione secondo lei?
Anche in questo caso è necessario trovare un equilibrio tra l’ottimizzazione dell’uso delle risorse, che è concetto assai diverso dall’iper-efficienza, e la sicurezza o affidabilità operativa. Uno dei temi del futuro sarà come utilizzare al meglio le risorse per garantire creazione di valore per i pazienti, un risultato che non si ottiene con continui tagli orizzontali ma migliorando i processi di cura e i percorsi del paziente e dunque coinvolgendo gli operatori a tutti i livelli. Un maggior valore nell’outcome percepito non passa attraverso il fare di più o più in fretta ma talvolta, al contrario, riducendo le attività doppie o inutili e puntando su quelle a valore aggiunto. Questo processo di lean management restituisce anche maggiori motivazioni al personale in quanto non si sente più un semplice esecutore ma un protagonista nella definizione del cambiamento. Si tratta naturalmente di un cambiamento non solo operativo, ma culturale, che passa, per esempio, attraverso il superamento delle barriere tra reparti, tra servizi e tra professionisti.
Quale sforzo di cambiamento è legittimo richiedere alle categorie professionali sanitarie già provate dal periodo pandemico?
Spesso sento dire che in Italia abbiamo pochi medici, ma non è vero, la media è in linea con quella europea. Piuttosto abbiamo pochi infermieri e pochi sanitari non medici. Credo che serva innanzitutto un passaggio di competenze, come per altro fanno in molti altri paesi, e per questo chiediamo a medici e infermieri la disponibilità per accogliere alcune novità. Non si lavorerebbe meglio anche nel pubblico se, per esempio, i posti letto di un reparto fossero gestiti da uno staff di caposala in grado di avere sotto controllo tutti i diversi dipartimenti anziché unicamente dai Primari? Gli stessi professionisti potrebbero dedicare più tempo alle attività di loro esclusiva competenza. Alla base di tutto ci deve essere insomma la disponibilità al dialogo ed all’ascolto dei pazienti e dei colleghi e l’esempio deve partire dalle Direzioni Strategiche.
Quello che è accaduto negli ultimi mesi è qualcosa che si sentiva preparato ad affrontare come manager?
Dagli studi in Bocconi ho imparato soprattutto l’importanza del metodo adottando il quale non esistono problemi insuperabili, nemmeno quelli imprevedibili. Anzi, questa emergenza ci ha proprio dimostrato che si può decidere molto, e bene, anche in poco tempo e in condizioni di incertezza. Dobbiamo però smettere di pensare in verticale e ragionare orizzontalmente. Da pazienti lo facciamo già, giudicando ogni aspetto di un ospedale, dall’accettazione alla mensa, dalla pulizia alla professionalità degli infermieri, mentre come medici o manager abbiamo continuato a organizzarci in compartimenti stagni. Questa emergenza ci ha costretti a coinvolgere tutte le professionalità, tutti i livelli dell’organizzazione, in un continuo collegio che mettesse a sistema le diverse conoscenze. Da qui si può ripartire.

Laureato in Scienze politiche a Genova, Stefano Manfredi è arrivato a lavorare nella sanità dopo qualche anno nel settore bancario. “Erano gli anni ruggenti del controllo di gestione”, ricorda l’attuale direttore generale dell’Istituto Nazionale dei tumori di Milano. “L’esperienza nella sanità mi ha aperto un mondo nuovo che non conoscevo, ma che mi è subito interessato, tanto che ho deciso di iscrivermi in SDA prima al corso in management della Sanità e poi al master executive in Management delle aziende sanitarie”. Da allora Manfredi ha salito tutti i livelli della carriera, ricoprendo ruoli di direttore amministrativo e direttore generale in diverse ASSL locali e dunque restando sempre nel pubblico.

di Emanuele Elli

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