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Il successo degli orologi D1 Milano a Dubai

, di Davide Ripamonti
L'alumno Dario Spallone ha creato un piccolo marchio che, ispirandosi al gusto italiano, tiene testa ai big internazionali del settore

Una giovane azienda innovativa in un settore, quello degli orologi, tra i più tenacemente legati alle proprie tradizioni. La sfida di Dario Spallone, laureato in International Economics, Management and Finance nel 2013 con una tesi sul marketing plan della sua creatura D1 Milano, a distanza di sei anni è stata abbondantemente vinta e oggi il marchio italiano con sede a Dubai è uno dei brand a maggiore crescita nel settore: "Siamo passati dai 300 pezzi prodotti il primo anno ai circa 100 mila che realizziamo adesso, distribuiti in 700 punti vendita in 31 paesi. La scelta di Dubai non è dovuta a ragioni fiscali, ma al fatto che, come giovane imprenditore senza risorse multimilionarie, ho dovuto seguire il mercato più importante per l'azienda: quello arabo".
Le difficoltà inizialmente ci sono state, ma ora Dario viaggia spedito a tal punto che il brand in questi anni ha fatto registrare tra i maggiore tassi di crescita al mondo nel settore: "Quando cominci a fare impresa non sempre hai un percorso ben definito, anche se hai realizzato un business plan rigoroso, perché le cose cambiano velocemente. In Bocconi ho acquisito gli strumenti per reagire ai cambiamenti repentini".
D1 Milano riprende gli orologi degli anni 70, con le loro forme geometriche, ma utilizzando materiali d'avanguardia e soprattutto lavorando sui particolari per differenziarsi: "Bisogna focalizzarsi sui dettagli, bastano piccoli interventi sulle casse, sulle forme, per creare oggetti eleganti ma allo stesso tempo divertenti, valorizzando quello che nessun altro ha, l'amore per il bello tipicamente italiano". Anche se il marchio è giovane e l'azienda in fase di crescita ("attualmente siamo circa in 20"), le ambizioni sono grandi: "Siamo un'azienda sana, con pochissimo debito, e questo ci permette di reggere il confronto in un mercato dominato dai grandi gruppi. Settecento punti vendita non sono ancora niente, ma la mia ambizione è quella di creare un polo che sia, nel settore, il punto di riferimento del made in Italy". Dario è uno dei tanti giovani che per fare fortuna ha lasciato l'Italia. C'è spazio per un suo ritorno? "Il mio brand è fortemente legato all'Italia, dal nome al gusto per i dettagli cui accennavo prima. Non c'è niente di pianificato, ma se maturassero le condizioni perché no?".