OPINIONI |

Open source significa libertà di fare profitto

IL CODICE SORGENTE è NOTO, LE MODIFICHE GRATUITE, MA SI è CREATO UN BUSINESS INTORNO AI SERVIZI LEGATI AI PROGRAMMI

di Maria Lillà Montagnani, docente di diritto della proprietà intellettuale alla Bocconi

Per quanto non fossero in molti a scommettere sulla sostenibilità imprenditoriale dell’open source (Os), posto che il suo successo commerciale è imputabile alla gratuità del prodotto, l’adozione di software Os da parte delle imprese è particolarmente cresciuta soprattutto in Europa. Una recente indagine svolta da Survey Interactive su un campione di circa mille imprese ha verificato che in Germania la percentuale di utilizzo del software Os si colloca intorno al 51%. Seguono la Gran Bretagna con il 43% e la Francia con il 42%.

Il fenomeno del software open source è comunemente letto in antitesi al software proprietario. L’aggettivo ‘proprietario’ in questa accezione è una traduzione letterale dall’inglese proprietary, traduzione che offre i vantaggi della semplificazione e gli svantaggi dell’approssimazione.

Se per proprietario si intende semplicemente il software tutelato da diritti di proprietà intellettuale, allora anche il software Os è proprietario poiché è anch’esso, e sin dalla sua creazione, tutelato dal copyright. Ciò che rende attuale la distinzione tra proprietario e open non è tanto il regime di protezione giuridica, quanto le modalità di creazione del codice sorgente, di condivisione e gestione del copyright e di distribuzione del software. Mentre il software proprietario non rende accessibile il codice sorgente, il software Os opera la piena accessibilità di ogni elemento di cui è composto; mentre la titolarità del copyright sul software proprietario è in capo alla software house, il software Os vanta una pluralità di autori in comunione; mentre la distribuzione del software proprietario segue il modello “tutti i diritti riservati”, tipico del copyright tradizionale, il software Os segue il più flessibile modello della licenza Gpl (General public license, per cui chi riceve gratuitamente la licenza d’uso di un software deve a sua volta garantirla sulle modifiche e sulle migliorie apportate).

È interessante analizzare l’aspetto fortemente innovativo del fenomeno Os, poiché esso si manifesta non solo sotto il profilo tecnologico ma anche nei processi di creazione, gestione e distribuzione. Innanzitutto non si può omettere l’importanza della rete internet nell’offrire lo strumento che ha permesso l’aggregazione di programmatori indipendenti intorno ai diversi progetti, facendo così rientrare i software Os tra le invenzioni incrementali o cumulative. È infatti l’accordo tra soggetti riuniti in una comunità volta a consentire la libera comunicazione e circolazione del codice di un programma, e quindi la condivisione dei risultati dell’attività di sviluppo, a dare origine ai quei prodotti Os che vengono poi distribuiti ai singoli e alle imprese tramite la stessa rete internet. Ma c’è di più. Ci sono imprese, quali Red Hat, Caldera e Suse, che generano ricavi e profitti dalla distribuzione del sistema operativo Linux, distribuzione che, essendo regolata dalla licenza Gpl, richiede che il software sia distribuito gratuitamente insieme al codice sorgente. Il business in questi casi non sta nel prodotto ma nei servizi accessori al prodotto, quali la vendita del software su supporto cd-rom/dvd anziché tramite download, il supporto ai clienti professionali (cosiddetti business) e la fornitura degli upgrade più aggiornati del software in tempo pressoché reale e comunque selezionando anche tra più upgrade disponibili.

Tutto ciò rende l’Os l’esemplare manifestazione dell’incessante tendenza dei mercati e, in particolare, del mercato dell’information technology, a non comprimere le proprie possibilità di sviluppo e di diversificazione all’interno di schemi noti ma ad innovare al livello del prodotto e delle modalità di creazione e distribuzione dello stesso.

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