Oltre l'iniquita'
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Oltre l'iniquita'

IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE, RETORICAMENTE CONSIDERATO UNIVERSALISTICO, E' IN REALTA' SOSTANZIALMENTE FRAMMENTATO E NON GARANTISCE EQUITA' NELL'ACCESSO. QUATTRO MOSSE PER INVERTIRE LA ROTTA

di Francesco Longo e Mario Del Vecchio, Cergas SDA Bocconi

L’Italia è il Paese con una delle più basse natalità al mondo (1,2 figli per donna: servirebbe 2,2 per tenere la popolazione stabile) e con una delle più alte speranze di vita. Nel 2019 registravamo 25,9 milioni di lavoratori e 13,8 milioni di pensionati. L’Istat prevede per il 2039 22 milioni di lavoratori e 19 milioni di pensionati, un rapporto non sostenibile dal punto di vista sociale, economico e politico. Le conseguenze ricadono direttamente sul Sistema sanitario nazionale (SSN), con una inevitabile e progressiva riduzione della base imponibile - e quindi di risorse pubbliche disponibili - combinata all’aumento dei bisogni dovuti all’invecchiamento. Nonostante i crescenti bisogni, sono le esigenze della finanza pubblica ad imporsi nelle scelte. La programmazione del governo preveda dal 2025 il tetto del 6,2% di spesa pubblica sul PIL per il SSN. La spesa pubblica per la sanità è sobria nel confronto europeo, posizionandosi al 50% in meno di francesi e tedeschi (spesa sanitaria pubblica: 9,5% del PIL).

Il SSN è caratterizzato da una sostanziale frammentazione e iniquità nell’accesso generata dai 40 miliardi di spesa privata sostenuta dalle famiglie, sommata ai 9,6 miliardi di spesa out of pocket per assistere 3,8 milioni di non autosufficienti e al trasferimento da parte dell’INPS di altri 9,1 miliardi (assegni di accompagnamento) che alimentano il mercato privato della cura alla non autosufficienza. Se confrontiamo il totale (di circa 58 miliardi) di disponibilità delle famiglie per le spese sanitarie con i 126 miliardi del SSN, è chiaro che il rapporto di uno a due è lontano dall’universalistiche che ispira quest’ultimo. Inoltre, l’attuale dibattito di politica economica continua a privilegiare il sostenimento della spesa privata attraverso misure di trasferimento monetario alle famiglie sacrificando ipotesi di aumento dei servizi reali di welfare come il SSN.
L’iniquità è spiegata dalla non correlazione della spesa privata con le carenze del sistema pubblico ma con il reddito dei territori e delle famiglie. Sono le regioni ricche del nord, con i sistemi pubblici più performanti, ad avere il più alto livello di spesa privata. Allo stesso modo, le famiglie più abbienti, già più capaci ad accedere al SSN, spendono di più per servizi privati.
 
Come si compongono i 40 miliardi di spesa out of pocket? La spesa sanitaria privata, come rappresentata dall’Osservatorio Consumi Privati in Sanità di SDA Bocconi, è largamente out of pocket con 568 euro per abitante (2020), mentre quella intermediata da fondi, mutue o assicurazione ammonta a 70 euro per abitante. Si distribuisce lungo l’intera filiera con una concentrazione sui servizi ambulatoriali (circa il 50%) su farmaci e dispositivi medici (38-40%) e una parte residuale per il ricovero (10-12%), che rimane garantito dal SSN. Se nel periodo COVID si è assistito a una leggera contrazione della spesa privata, l’attuale difficoltà del SSN a recuperare le liste di attesa generate dalla pandemia alimenta il mercato privato.
 
Nonostante controlli solo 2/3 delle risorse complessive, l’SSN continua ad auto-rappresentarsi come una istituzione autosufficiente e definisce in modo auto-assolutorio buona parte della spesa privata come inappropriata. In realtà le famiglie, quando percepiscono un bisogno, si rivolgono sia all’SSN che al mercato privato che a quello informale della cura per capire quale sia quello più ragionevole per ottenere un servizio. Parte significativa delle prestazioni comprate dai cittadini sono legate a servizi che il SSN esplicitamente non offre (odontoiatria), che offre a standard insufficienti (medical device personali), che offre a quantità insufficienti (riabilitazione).
La frammentazione dei servizi e la mancata integrazione del mondo pubblico e privato, corredate da una retorica falsamente universalistica del SSN, confondono i cittadini su quali servizi siano davvero esigibili, oltre a obbligarli al cherry picking per ricomporre i servizi rispetto ai bisogni.
Questi fenomeni aumentano l’iniquità, favorendo le famiglie con maggiore literacy e risorse per arbitrare e integrare i due mercati.
 
Che fare? Il SSN, oltre ad acquisire una consapevolezza matura sul proprio reale ruolo nello scenario, dovrebbe, innanzitutto interrogarsi su come aumentare la spesa sanitaria aggregata del paese per garantire maggiori profili di equità sostenendo, nel breve periodo, una crescita della spesa intermediata a sfavore di quella out of pocket su ampi strati della popolazione. In secondo luogo, diventare un erogatore credibile nel mercato a pagamento, offrendo servizi appropriati ad alta qualità, con prezzi calmierati: rappresentare la good practice del mercato a pagamento. Terzo, integrare in filiera le prestazioni ottenute dai diversi mercati, sostenendo le famiglie nel processo di arbitraggio ricompositivo (una nota positiva: nel fascicolo sanitario già si trovano i referti delle prestazioni private). Infine, verificare con maggiore rigore l’assenza di distorsioni nelle priorità di accesso nel SSN dovute a prestazioni comprate nel mercato libero professionale.

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