Big tech e licenziamenti: verso lo scoppio di una nuova bolla?
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Big tech e licenziamenti: verso lo scoppio di una nuova bolla?

UNA CRISI CHE HA MOLTEPLICI MOTIVAZIONI, DALLA DIMINUZIONE DEGLI INTROITI PUBBLICITARI A INVESTIMENTI POCO REDDITIZI E ALLA REGOLAMENTAZIONE PIU' STRINGENTE. PER NON DIMENTICARE IL DIFFICILE MOMENTO DELL'ECONOMIA A LIVELLO GLOBALE

di Nicoletta Corrocher, lecturer presso il Dipartimento di management e tecnologia

Alcuni parlano dello scoppio di una nuova “tech bubble”, altri più semplicemente di una conseguenza naturale della crisi economica e della recessione mondiale. Fatto sta che l’ondata di licenziamenti fra le imprese high-tech sta assumendo dimensioni preoccupanti. All’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk è seguita una riduzione di metà dei dipendenti (alcuni dei quali poi richiamati), ma già a luglio l’impresa aveva eliminato il 30% del suo team di talent acquisition. Anche Meta ha da poco annunciato il taglio di 11.000 dipendenti, cioè il 13% della propria forza lavoro. Ma non sono solo i proprietari di social network a soffrire: in generale, il settore delle piattaforme digitali sembra essere in difficoltà. Netflix prima dell’estate ha licenziato 450 persone e Lyft, storica impresa di car sharing alternativa a Uber, ha di recente messo alla porta più del 10% dei suoi dipendenti, mentre Stripe – uno degli operatori di maggior successo per lo sviluppo di software per pagamenti elettronici – ha licenziato 1.120 persone. E anche le imprese che non hanno per ora ridotto il personale – Google, Apple, Tik Tok e Amazon - hanno rallentato in modo sostanziale le assunzioni e stanno rivedendo le loro strategie di gestione delle risorse umane, in vista di probabili ristrutturazioni a livello globale.

Le motivazioni della crisi sono molteplici. Innanzitutto, le imprese risentono del difficile momento dell’economia mondiale. L’incremento dell’inflazione ha ridotto il potere d’acquisto di beni e servizi di famiglie e imprese e l’andamento dei mercati finanziari sta penalizzando la valutazione delle big tech, precedentemente sopravvalutate anche in seguito all’eccezionale crescita durante la pandemia.

In secondo luogo, i profitti legati alla pubblicità online, che ha sempre rappresentato una delle principali fonti di ricavo per le big tech, si stanno riducendo, e questo costringe le imprese a ripensare e innovare il loro modello di business, che sembrava essere estremamente consolidato. Dopo l’acquisizione di Twitter, Musk ha annunciato di voler trasformare un servizio tradizionalmente gratuito e finanziato tramite pubblicità e tweet sponsorizzati in un servizio a pagamento con un abbonamento premium, che offrirà una serie di vantaggi agli utenti paganti -  priorità nelle repliche ai tweet, nelle menzioni e nella ricerca; possibilità di postare video e audio più lunghi; meno pubblicità. Anche Netflix ha avviato cambiamenti importanti nel suo modello di business, a causa della perdita significativa di abbonati, iniziando a far pagare gli account condivisi e prevedendo di adottare un modello “freemium” simile a quello di Spotify, con la proposta di abbonamenti premium più costosi e abbonamenti base più economici, ma finanziati dalla pubblicità. La crisi del mercato pubblicitario sta avendo un impatto anche sulle imprese più virtuose del settore. Tik Tok, che molti considerano come uno dei principali fattori dietro la crisi dei social di Meta e Twitter, prevede di subire 2 miliardi di perdite di fatturato a causa di questo fenomeno e per la prima volta nella sua storia, Youtube (proprietà di Google) ha subito una contrazione di ricavi da pubblicità del 2%.

In terzo luogo, spinte dalla necessità di trovare fonti di ricavo alternative e di contrastare la crescente concorrenza, le piattaforme digitali hanno effettuato ingenti investimenti in servizi e tecnologie che non stanno rendendo quanto sperato. Emblematico in tal senso è il caso di Meta, dove Reality Labs, l’unità dedicata a realtà virtuale e Metaverso, ha perso 3,7 miliardi e il progetto di Libra – poi ridenominato Diem -  la cryptovaluta sviluppata da Facebook (Meta) è sostanzialmente fallito.

Infine non va dimenticato l’impatto della regolamentazione, che in alcuni paesi sta diventando sempre più stringente, obbligando le imprese a modificare le loro strategie di raccolta e gestione dei dati per preservare la privacy degli utenti, e a limitare eventuali condotte anticoncorrenziali, sia dal punto di vista delle acquisizioni, sia dal punto di vista delle pratiche commerciali.

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