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Le sanzioni economiche sono armi spuntate?

, di Paola Mariani, professore associato di diritto internazionale
La Russia e' bersaglio di sanzioni dal 2014 ma cio' non ha impedito l'escalation fino all'invasione militare di questi giorni. Tuttavia, fallita la diplomazia, le sanzioni restano l'unico modo pacifico di riportare le parti al tavolo. Vanno pero' disegnate con attenzione

L'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa ci riporta ai tempi bui del secolo scorso. L'uso della forza nei confronti di uno Stato sovrano per malcelati obiettivi espansionistici preoccupa tutti nel mondo, indipendentemente dalla vicinanza geografica alle zone di guerra. Intendiamoci, la guerra quale strumento di offensivo nelle relazioni tra Stati continua ad essere utilizzato, sebbene dall'entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite nel 1945 il diritto internazionale si sia consolidato nel vietare l'uso della forza, con l'eccezione della legittima difesa (individuale e collettiva). Il divieto di aggressione, inteso quale ricorso da parte di uno Stato a operazioni militari contro un altro Stato, è un precetto che appartiene alla categoria delle norme imperative di diritto internazionale (jus cogens).
Un illecito così grave, quando commesso da un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, è ancora più preoccupante perché mette fuori gioco le Nazioni Unite e il sistema di difesa collettivo previsto dalla Carta. Questo significa che qualora uno Stato singolo o una coalizione intenda intervenire nel conflitto armato in atto, ciò avverrà fuori dall'unico sistema multilaterale universale a ciò preposto.

In questa primissima fase, la comunità internazionale unita nel non avallare l'operato della Russia (non tutti hanno condannato, si veda la Cina) sembra convergere su un uso massiccio delle sanzioni economiche.

Lo strumento delle sanzioni economiche per reagire a violazioni della legalità internazionale è stato ampiamente utilizzato sin dalla fine degli anni '90 del secolo scorso e dopo gli attentati dell'11 settembre è stato lo strumento principe della lotta al terrorismo internazionale.

Le sanzioni hanno avuto un'evoluzione costante nel corso degli anni, dai primi embarghi totali con effetti devastanti sulle popolazioni dei paesi colpiti, si è passati ad azioni più mirate tanto nell'oggetto della restrizione economica, quanto nei soggetti colpiti. Si tende a sanzionare circoscritti settori economici, cercando di mantenere gli scambi sui beni essenziali per la popolazione, colpendo lo Stato e i suoi organi ovvero privati, individui singoli e imprese.

La Federazione russa è bersaglio di sanzioni economiche fin dal 2014 a seguito dell'annessione della Crimea per mano militare. Molti paesi occidentali, Unione europea e Stati Uniti in primis, hanno adottato vari pacchetti di sanzioni in questi otto anni di conflitto, ma ciò non ha impedito l'escalation fino alla guerra di aggressione russa. Alla luce di ciò, sorge legittimo il dubbio sull'opportunità di insistere con uno strumento che ha dimostrato così scarsa efficacia.

Partendo dalla premessa che in un sistema di Stati sovrani le alternative alla repressione dell'illecito con l'uso della forza militare non sono molte, il fallimento della via diplomatica rende allo stato la pressione economica l'unico modo "pacifico" per riportare le parti al tavolo delle trattative per trovare un accordo.

Il punto non è lo strumento sanzione in sé, quanto piuttosto la sua capacità di indebolire il governo del Paese destinatario delle sanzioni, non solo nelle relazioni internazionali, ma anche al suo interno. Nel sanction design, occorre identificare il target (soggetti pubblici o privati) le forme di commercio, gli investimenti e le forme di circolazione che saranno oggetto di limitazioni. Per far ciò è necessario avere chiaro in mente l'articolazione dei rapporti economici internazionali, i settori più esposti alle esportazioni e la loro organizzazione ma anche il modello di organizzazione politica del paese. Colpire il settore energetico, ad esempio, potrebbe indebolire la Russia anche all'interno, considerata l'influenza che gli oligarchi russi che controllano quel mercato possono esercitare sul regime.

La difficoltà a adottare sanzioni efficaci è strettamente collegata ai reciproci effetti negativi per le economie degli Stati che adottano le sanzioni. E ciò è tanto più vero quando si creano situazioni di dipendenza economica. Gli Stati membri dell'Unione di fronte all'aggravarsi della crisi hanno accettato di estendere le sanzioni al settore energetico, come da tempo chiedevano gli Stati Uniti, anche se per molti di loro, a cominciare dalla Germania, i contraccolpi economici saranno pesanti. Non bisogna sottovalutare l'effetto delle sanzioni sui mercati dei Paesi che le adottano, anche in termini di consenso democratico quando la misura economica abbia un impatto negativo diffuso.

Infine, l'efficacia di una sanzione deriva dall'essere parte di un'azione coordinata di un numero sufficiente di Stati che possa portare all'isolamento del Paese sanzionato. La reazione della comunità internazionale sembra compatta e la maggior parte delle economie di mercato ha adottato o sta per adottare sanzioni su modello di quelle europee e statunitensi. Ma anche gli Stati che non condividono l'uso delle sanzioni possono metterne a repentaglio l'efficacia. Il ruolo della Cina è determinate per il successo delle sanzioni occidentali. Se la Cina deciderà di fare da sponda alla Russia, occupando gli spazi di mercato lasciati liberi, i sacrifici economici che le sanzioni portano con sé rischiano di essere vani.

Ci sono molte variabili in gioco e i dubbi sull'efficacia delle sanzioni sono legittimi, ma non dimentichiamo che scegliendo di non restare indifferenti all'illegalità internazionale, la guerra resta l'unica alternativa.