Negoziare? E una questione di emozioni
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Negoziare? E una questione di emozioni

NATO DA UN CLAMOROSO FALLIMENTO, LO STUDIO DELLA NEGOZIAZIONE IMPONE UNA PREPARAZIONE PRECISA. CHE IMPONE, INNANZITUTTO, DI CONOSCERE LE PERSONALITA' E LE ABILITA' DI TUTTI GLI ATTORI IN GIOCO

di Massimo Picozzi e Leonardo Caporarello, rispettivamente, SDA Bocconi Fellow e psichiatra forense e SDA Professor of negotiation practice

Non c’è dubbio: l’era moderna della negoziazione nasce con un clamoroso fallimento.
Parliamo del 5 settembre 1972, quando la presa di ostaggi nel villaggio olimpico di Monaco di Baviera si traduce in una carneficina, per la scelta di privilegiare la forza rispetto al dialogo. In qualche modo questo evento rappresenta il fattore “scatenante” la necessità di ricercare modelli e metodi per quantomeno essere maggiormente preparati ad affrontare situazioni simili.

Questa esperienza impone alle forze di Polizia una preparazione cui nessuno aveva mai pensato, dando il via a un progetto finalizzato alla definizione di protocolli di intervento, affidato ai detective NYPD Harvey Schlossberg, una laurea in psicologia e l’esperienza di anni passati a intervenire sul campo, e a Frank Boltz un altro veterano.
I due iniziano a definire gli aspetti fondamentali della negoziazione, a cominciare dal primo: non è possibile condurre un’efficace negoziazione se non si conoscono bene la personalità e il movente del sequestratore.

Il secondo aspetto riguarda l’importanza del fattore tempo: è decisivo disinnescare la tensione che accompagna sempre una presa di ostaggi, e l’unico modo per riuscirci è rallentare ogni passaggio della negoziazione. Per questo Schlossberg e Boltz creano l’efficace definizione di “inattività dinamica”.

Generalizzando, gli aspetti fondamentali di qualunque dinamica negoziale sono la conoscenza delle personalità, delle competenze e abilità professionali di tutti gli interlocutori nonché degli interessi che li spingono a negoziare. Inoltre, sapere quanto tempo ha a disposizione ogni parte negoziale rappresenta una delle più significative fonti di potere negoziale. Questi aspetti, soprattutto il tempo, assumono una rilevanza superiore che nel passato considerando che, data la situazione contingente, le negoziazioni, e più in generale le relazioni inter-personali, sono molto spesso mediate dalla tecnologia.

Il testimone dei lavori dell’FBI in ambito negoziale lo raccolgono nel 1979 Roger Fisher, William Ury e Bruce Patton che fondano l’Harvard Negotiation Project: non si tratta più di negoziare con sequestratori, ma di impegnarsi nella ricerca di nuove pratiche per gestire costruttivamente i conflitti e le dinamiche negoziali, siano interpersonali o professionali.
Da quella data la contaminazione tra il mondo del law enforcement e quello manageriale è continua: lo scarso tempo a disposizione (reale o percepito), l’asimmetria informativa, l’emotività dei soggetti coinvolti, la (non sempre efficace) chiarezza comunicativa sono tutti fattori che contribuiscono ad aumentare l’incertezza e il livello di stress nei processi decisionali che i manager sono chiamati a gestire.

Per questo è decisivo ridurre la tensione, altrimenti l’interlocutore non sarà in grado di cogliere il valore delle alternative proposte; è quindi importante comprendere se l’emotività dell’altro sia parte della sua personalità, o viceversa innescata da fattori contingenti allo scenario in atto.

Secondo alcuni contributi di letteratura, è possibile distinguere gli interlocutori in tre categorie: i direttivi, gli espressivi e i conflittuali.
I direttivi sono individui assertivi e controllati, rapidi e focalizzati sul risultato. Per loro contano poco le passate esperienze, perché ciò che conta è che il lavoro sia fatto correttamente e in fretta.

Difficilmente sono portati all’ascolto, in genere perché ritengono di avere già ogni risposta. Con loro occorre grande pazienza, ma insieme la fermezza di mantenere la propria posizione, in modo professionale, evitando sempre l’ironia, che verrebbe letta come una mancanza di rispetto.

Gli espressivi amano invece il palcoscenico, ma faticano a mantenere la concentrazione; sono impulsivi e drammatici. Con loro occorre stabilire un contatto personale riconoscendo le loro emozioni. Per gli espressivi vedere riflesse le proprie emozioni significa essere capiti, ed essere riconosciuti è per loro importantissimo. A differenza dei direttivi, con gli espressivi l’umorismo e la battuta possono essere chiavi di apertura.

Infine ci sono i soggetti conflittuali.
Il soggetto conflittuale in crisi risponde con il suo cervello destro, con la parte emotion-drived e action-oriented, con la parte della risposta flight, fight, freeze.
Per il conflittuale le cose sono bianche o nere, le emozioni non integrate, attribuisce agli altri le colpe dei suoi insuccessi e non raramente è preda di momenti di aggressività.
Nel gestirli occorre evitare ammonimenti e consigli. Tenderebbero a interpretarli come irrispettosi e critici; sono anche da evitare le scuse. Nel suo mondo bianco o nero, ammettere un errore significa che l’altro sbaglia sempre.

Con loro occorre essere empatici e adottare le tecniche dell’ascolto attivo; quanto alla comunicazione, in ogni momento di particolare difficoltà, deve essere fatta di frasi brevi, informative, amichevoli e ferme.

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