La politica monetaria europea non e' piu' sola
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La politica monetaria europea non e' piu' sola

DAL RECOVERY FUND, CHE UTILIZZA IL BILANCIO EUROPEO IN FORMA ANTICICLICA, ALLA PROPOSTA NOTA COME NEXT GENERATION, SIAMO DI FRONTE A UNA SVOLTA EPOCALE E ALLA NASCITA DI UN PRIMO GERMOGLIO DI POLITICA FISCALE COMUNE

di Carlo Altomonte e Gianmarco Ottaviano, Achille and Giulia Boroli Chair in European Studies

Accettiamo il cambiamento solo in caso di necessità, e riconosciamo la necessità solo in caso di crisi. Così diceva Jean Monnet, padre del progetto di unificazione europea. Non sarebbe quindi sorpreso di quello che sta accadendo in questi mesi nel Vecchio Continente sotto i colpi della pandemia.

In realtà, avendo dovuto fronteggiare prima la crisi finanziaria del 2008-2009 e poi quella del debito pubblico del 2011-2012, i paesi europei stanno già vivendo la tensione implicita tra necessità e cambiamento da circa un decennio. Ma anche di fronte alle crisi non è facile trovare il consenso politico per arrivare a soluzioni ottimali. Il Fiscal Compact del marzo 2012, presupposto politico per l’accordo sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e poi per le operazioni OMT (il “whatever it takes” di Draghi), ha comportato l’inserimento della clausola del pareggio di bilancio, tanto cara agli stati membri “frugali”, quale linea guida di politica fiscale dell’area euro. Il risultato è stata una politica fiscale di fatto recessiva in periodo di crisi, che ha portato alla percezione diffusa (soprattutto, ma non solo in Italia) della cosiddetta “austerità” come un intervento giusto, ma al momento sbagliato. A fine 2018, anche per alcuni ritardi storici del nostro paese, il PIL pro capite italiano era ancora 6 punti percentuali al di sotto del 2008.

Con la crisi pandemica, tuttavia, la transizione da necessità a cambiamento sembra essersi fatta più fluida, anche in Germania, il paese guida della coalizione “frugale”. Da un lato l’esperienza pregressa e dall’altro le riserve della Corte suprema tedesca sembrano infatti aver generato un ripensamento dello schema di gioco “tradizionale” dell’Europa, in base al quale le crisi vengono gestite concedendo un minimo di redistribuzione fiscale tra Stati, ma lasciando il grosso dell’aggiustamento sulle spalle della BCE. Il ripensamento si è concretizzato il 18 maggio 2020, quando Francia e Germania hanno annunciato, in maniera del tutto inattesa, una loro proposta comune per un Recovery Fund europeo dotato di 500 miliardi di euro di fondi “veri”, ossia trasferimenti, da inserire dentro il quadro finanziario pluriennale del bilancio e (dunque) da distribuire tra gli Stati membri. Sull’originaria proposta di Francia e Germania è poi intervenuta la Commissione europea, con una proposta articolata sul fronte dell’utilizzo dei fondi, nota come Next Generation.

Al di là di altre misure concomitanti, quali i prestiti agevolati a sostegno dei disoccupati (SURE) e l’attivazione di una nuova linea di credito temporanea per spese sanitarie legate al Coronavirus (in ambito MES), la proposta franco-tedesca rappresenta una svolta epocale. Rompe infatti due dei tabù fiscali che hanno sino ad oggi caratterizzato la moneta unica. Da un lato, accetta che il bilancio europeo possa essere per la prima volta utilizzato in funzione anti-ciclica, mentre finora il consenso era che il bilancio europeo dovesse coprire solo spese strutturali, senza nessun ruolo di stabilizzazione della domanda aggregata lungo il ciclo economico. In secondo luogo, disegna uno strumento di debito europeo (obbligazioni emesse dalla Commissione a valere sulle garanzie dei futuri contributi nazionali al bilancio comunitario), che viene pagato dagli Stati membri in funzione del loro peso economico, ma che può essere erogato ai medesimi Stati in funzione delle necessità emergenti dalla crisi pandemica. In virtù di questo germoglio di politica fiscale comune, per la prima volta la politica monetaria europea non si troverà sola di fronte ad una crisi comune, creando un sostegno che potrebbe diventare rilevante anche per importanti settori e regioni dei paesi “frugali”. Come avrebbe detto sempre Jean Monnet, un grande privilegio di produrre cognac è che insegna, più di ogni altra cosa, a saper aspettare: l’uomo propone ma le stagioni devono essere dalla sua parte.

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