Formidabile quell'anno: nel 1989 non cadde solo il Muro
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Formidabile quell'anno: nel 1989 non cadde solo il Muro

UN MOMENTO FATALE NON SOLO PER I FATTI DI BERLINO, MA ANCHE PER QUELLI DI PIAZZA TIENANMEN, PER LA SVOLTA DI GORBACIOV E PER L'ELEZIONE DI DE KLERK IN SUDAFRICA

di Andrea Colli, ordinario presso il Dipartimento di scienze sociali e politiche

Le date del calendario in cui cadono anniversari importanti sono giustamente celebrate, anche se è bene ricordare sempre che si tratta di momenti simbolici: difficilmente le alternative della storia si concentrano tutte in quello che il grande storico Stefan Zweig definisce un “momento fatale”.  Non è tuttavia facile evitare di etichettare il 9 novembre del 1989 come tale, tali e tanti sono stati i mutamenti che, a far tempo da quella data, hanno profondamente inciso sulla fisionomia del mondo contemporaneo.
A ben vedere, però, il giorno in cui “il mondo cambiò” può essere visto non tanto e non solo come la caduta di una barriera – simbolicamente, l’ampliarsi dello spazio che prende il nome di globalizzazione – ma anche il punto di arrivo di un lungo percorso iniziato molti anni prima, quando le crepe nella geopolitica bipolare della guerra fredda avevano cominciato ad allargarsi ovunque. In Asia orientale, quando nel 1978 la Cina aveva avviato la politica di riforme che ne sancivano di fatto il re-ingresso nel sistema economico globale e, poco dopo, nell’Europa dell’est, con il primo sciopero nei cantieri di Danzica nell’agosto del 1980, che portò alla nascita dello storico movimento di opposizione al regime incarnato da Solidarnosc. Proprio come il centro di una clessidra, insomma, il novembre del 1989 fu tanto un punto di partenza quanto un punto di coagulo di trasformazioni avviatesi da tempo.
Se si scorre, però, una semplice cronologia degli eventi che caratterizzano quell’anno, è davvero difficile sfuggire all’impressione che davvero si sia trattato di un momento fatale, caratterizzato da un eccezionale, inconsueto affastellarsi di eventi di portata rivoluzionaria destinati a influenzare, in maniera profonda e permanente, il tempo a venire.

Quando il muro viene abbattuto, il 1989 aveva già visto il susseguirsi, a ritmo serrato, di eventi che è difficile non considerare fortemente simbolici di mutamenti radicali. Dalla primavera, movimenti di protesta studenteschi incendiavano la Cina e avrebbero condotto ai tragici fatti di Tien-An-Men. Contemporaneamente, i sovietici ammettevano finalmente il fallimento della loro campagna afghana, avviando il ritiro delle truppe che occupavano il paese centroasiatico, nello stesso momento in cui Michail Gorbaciov, da maggio presidente dell’Urss, pranzava a Buckingham Palace, poco prima di incontrare a Roma Papa Wojtyla. Con l’elezione in agosto di Frederik De Klerk, in Sudafrica era iniziato il processo di abbattimento di un altro, e altrettanto odioso, muro: quello razziale. L’Ungheria avviava intanto la rimozione (un gesto che ha oggi un sapore un po’ amaro) di centinaia di chilometri di rete di confine con l’Austria. In Cecoslovacchia già dalla primavera si susseguivano le dimostrazioni della rivoluzione di velluto, mentre nelle repubbliche baltiche alti risuonavano i canti della “Singing Revolution”. In Romania si andava disintegrando inesorabilmente il regime autocratico di Nicolaj Ceausescu. Ma non era solo rivoluzione politica. Altre barriere cadevano, in un mondo improvvisamente sempre più interconnesso: nei primi mesi del 1989 la Motorola aveva lanciato il Micro TAC, il primo vero e proprio telefono cellulare portatile e negli Stati Uniti venivano allacciate le prime connessioni internet commerciali, nello stesso momento in cui il primo satellite Gps cominciava a orbitare intorno alla Terra. Privatizzazioni e liberalizzazioni si propagavano ovunque in Europa, efficacemente simboleggiate dalla privatizzazione del settore idrico firmata dal governo conservatore britannico proprio nell’estate del 1989.
Purtroppo, però, la cornucopia del 1989 conteneva anche altro. Il 28 giugno del 1989, nel seicentesimo anniversario della battaglia della Piana dei Merli, al centro della regione a maggioranza etnica albanese del Kosovo, Slobodan Milosevic pronunciava, di fronte a una moltitudine serba, un discorso che inneggiava a pace, prosperità e unità – ma che, nei fatti, costituì il primo episodio di un tragico conflitto destinato a incendiare i Balcani per un decennio, e a tradursi in una delle eredità più tragiche e vergognose di quell’anno straordinario.

Per approfondire
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