Con l'outsider in Cda i risultati d'impresa s'impennano
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Con l'outsider in Cda i risultati d'impresa s'impennano

LE ANALISI DEL CORPORATE GOVERNANCE LAB EVIDENZIANO IL RAPPORTO POSITIVO TRA INGRESSO DI CONSIGLIERI ESTERNI E REDDITIVITA' NELLE NON QUOTATE

di Alessandro Minichilli e Daniela Montemerlo, rispettivamente associato presso l'Universita' Bocconi e ordinario all'Universita' degli studi dell'Insubria

Nelle società non quotate i benefici di regole e processi strutturati di governo dell’impresa e dell’apertura a consiglieri terzi tendono ad essere sottovalutati, con rischi di chiusura ad opportunità di crescita e di partnership – equity e non equity – che sta limitando il potenziale di molte aziende (piccole e non solo).
In tutte le imprese, in verità, il tema della qualità del capitale umano della governance è delicato. E proprio dalle persone siamo partiti nelle nostre ricerche nell’ambito del Corporate governance Lab della SDA Bocconi, nell’ipotesi che un investimento in tal senso possa favorire il recupero del ritardo accumulato su regole e processi, senza contare che i partner potenziali considerano ormai l’apertura del CdA come un requisito fondamentale (ed è molto meglio presentarsi loro con Consigli già aperti).
Per verificare l’ipotesi abbiamo esaminato i profili di 9.608 consiglieri di 2.441 società non quotate con un CdA (e con fatturato superiore ai 100 M di euro) senza ruoli esecutivi né legami con la proprietà. I risultati sembrano indicare effetti positivi dell’apertura ad outsider. Le aziende che ne introducono anche uno solo vedono un incremento (sul ROE e ROA aggiustati per le rispettive medie di settore) di 1 punto di redditività netta e di 0,5 punti di redditività operativa in appena due anni dall’ingresso. L’effetto è ancora più marcato se ad entrare in CdA è un consigliere outsider con esperienza in società quotate (+1,5 punti netti di ROA adjusted), ad evidenza di un travaso di buone prassi e di cultura di governance. Infine, l’effetto positivo degli outsider in società non quotate appare un fenomeno non solo italiano: dati simili raccolti per un campione di imprese non quotate di Francia, Germania ed UK, infatti, hanno mostrato un incremento netto di 0,5 punti di ROA adjusted per ogni incremento del 10% di outsider. La loro presenza, inoltre, sembra favorire i processi di ricambio al vertice: +10% di outsider equivale a + 6% di probabilità di successioni a loro volta portatori di migliori performance (in media, il ROE adj. migliora di +2,36 punti e il ROA adj. di +0,86 punti tra l’anno precedente e quello successivo al ricambio).
Eppure le imprese familiari, pari a due terzi della popolazione indagata, hanno CdA piccoli (4,6 componenti in media), con appena il 24% di outsider: un dato molto probabilmente sovrastimato per via dei numerosi consiglieri dai forti legami con la proprietà e con l’impresa. Un po’ meglio fanno le coalizioni tra più soggetti proprietari, con CdA più grandi (6 componenti) e il 35% di outsider. Ma la distanza è ancora considerevole rispetto alle imprese a controllo finanziario, dove gli outsider sono la maggioranza (67%).

A peggiorare il quadro poi va considerato che, nei gruppi familiari, vi è la tendenza a cooptare consiglieri outsider nei board delle controllate operative di primo e soprattutto di secondo livello: anche se presenti, cioè, gli outsider sembrano giocare un ruolo non centrale.
Al di là delle resistenze culturali, c’è da chiedersi se esista o meno una adeguata offerta di capitale umano, ossia un mercato dei consiglieri. In tal senso, i dati del Cg Lab hanno fornito una prima e parziale risposta. Dei 9.608 consiglieri analizzati, ben 5.551 risultano nati nella stessa provincia in cui ha sede sociale l’impresa. Questo non deve sorprendere se si considera la larga presenza di soci in Cda, nonché di loro consulenti storici, che peraltro consentono un’apertura della governance che non sarebbe possibile con l’inserimento diretto di indipendenti secondo Borsa Italiana. Ma restano aperte alcune sfide importanti, dal localismo eccessivo all’acquisizione di competenze diverse da quelle degli interlocutori storici: economico-finanziarie, di M&A dal lato legale e aziendalista, di gestione dei rischi (spesso sottovalutati), tecnologiche o digitali. Vincere queste sfide è essenziale per assicurarsi un valore aggiunto considerevole e, sempre più spesso, imprescindibile.
 

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