Venti sfumature d'Europa
OPINIONI |

Venti sfumature d'Europa

TANTE QUANTE SONO LE RICERCHE DEI PROFESSORI E LE TESTIMONIANZE DEGLI ALUMNI CHE COLLABORANO CON LE PRINCIPALI ISTITUZIONI EUROPEE RACCOLTE IN QUESTA COVER STORY CHE PARTE DA UNA DOMANDA: QUANTO COSTA LA NON EUROPA? UNA PERDITA MEDIA DEL 6,5% DEL REDDITO PRO CAPITE

di Gianmarco Ottaviano, Cattedra Fondazione Achille e Giulia Boroli in studi europei

L’Unione Europea è figlia della guerra e madre della pace . È il risultato di una visione rivoluzionaria delle relazioni internazionali, che non ha precedenti nella storia dell’umanità: di fronte alle rovine della Seconda guerra mondiale e successivamente del socialismo reale, un numero crescente di paesi democratici, dopo secoli di conflitti e violenze belliche, spontaneamente decide di dire basta e di anteporre la pace, l’unità e la prosperità del Continente agli egoismi nazionali, alle mire espansionistiche dei paesi più forti e alle diffidenze di quelli più deboli. Pietra angolare del progetto europeo è l’idea che pace e prosperità vadano a braccetto quando si abbattono le barriere commerciali tra paesi: la pace genera prosperità e la prosperità sostiene la pace.
Ma è vero che gli scambi commerciali disinnescano i conflitti? In generale, la natura della relazione tra apertura al commercio internazionale e conflitti militari non è poi così chiara. La ragione è la compresenza di due effetti contrastanti. Da un lato, la probabilità di conflitto militare è bassa tra paesi che commerciano molto fra loro per una semplice questione di interdipendenza reciproca. Dall’altro, paesi che sono molto aperti agli scambi internazionali hanno tipicamente molti partner commerciali e questo riduce le conseguenze economiche negative di muovere guerra a un singolo partner.

In altre parole, la «monogamia commerciale» scoraggia il conflitto bilaterale, mentre la «poligamia commerciale» lo rende meno penalizzante. D’altro canto, la prima genera minori benefici dagli scambi commerciali della seconda. Per questa ragione l’Unione europea ha istituzionalizzato la «poligamia commerciale» attraverso un assetto in cui tutti i paesi membri sono pronti a sanzionare collettivamente le intemperanze nazionaliste di un qualsiasi paese membro deviante.
Anche se in generale è difficile concludere che il commercio internazionale sia un antidoto alla guerra, nel caso specifico dell’Europa è innegabile che la realizzazione di un’area di libero scambio tra i paesi del Vecchio continente abbia coinciso con un prolungato periodo di pace e prosperità senza precedenti. Nonostante ciò, a circa venticinque anni dalla creazione del mercato unico (cominciata nel 1987 e conclusa nel 1993), viviamo per la prima volta in un momento storico in cui, alla luce di un sovranismo rampante, un ritorno alla frammentazione dei mercati europei secondo i confini nazionali non è uno scenario a probabilità zero.
Quali sarebbero i danni economici di questo ritorno alla non-Europa? La risposta a una simile domanda non è facile, perchè dipende dallo specifico scenario di disgregazione che si considera e dal tipo di effetti, statici (sull’efficienza produttiva) o dinamici (sulla crescita economica), che si vogliono mettere in evidenza. Poiché gli effetti dinamici sono molto più forti, ma anche più difficili da misurare, un approccio ottimistico all’analisi delle conseguenze economiche della non-Europa è quello di limitarsi agli effetti statici. Questo approccio offre la possibilità di individuare un valore minimo dei costi della frammentazione del Mec, Mercato europeo comune.

L’esercizio di quantificazione richiede la definizione di plausibili scenari di disgregazione del Mec e l’uso di modelli matematici per simulare le conseguenze economiche dei diversi scenari individuati. Lo scenario più plausibile nel caso di abolizione del mercato unico è un ritorno alla situazione dei primi anni Ottanta, in cui il commercio tra i paesi membri delle Comunità europee (Cee) era regolato da un accordo di libero scambio regionale. Da questo punto di vista la differenza tra Cee (apparsa in embrione nel 1957) ed Ue (nata nel 2002) in termini di integrazione economica è fondamentale.
A grandi linee, un accordo di libero scambio elimina tutti i dazi e le restrizioni quantitative che altrimenti ostacolerebbero il commercio internazionale di beni e, se previsto, anche di servizi tra i paesi aderenti. A quelle di un accordo di libero scambio di beni, l’Ue aggiunge molte altre caratteristiche. L’Ue è infatti anche un’unione doganale, cioè oltre che alla rimozione degli ostacoli alla libera circolazione di beni e servizi, i paesi membri si impegnano anche a un’unica politica commerciale nei confronti del resto del mondo: non solo i dazi interni non esistono, ma anche i dazi esterni sono uguali per tutti. Pertanto, nessun paese dell’Ue può condurre negoziazioni commerciali indipendenti con i paesi extra-Ue. Inoltre, all’interno del Mercato unico dell’Ue la libera circolazione non riguarda solo i beni e i servizi, ma anche i capitali e le persone. Questi quattro aspetti della libera circolazione sono i quattro pilastri del Mercato unico che tutti gli stati membri si sono impegnati a rispettare a pena di esclusione dall’Unione.
Tornando alla non-Europa, lo scenario di ritorno al passato Cee vorrebbe dire passare dal mercato unico a un’area di libero scambio regionale di beni e servizi. La conseguente riduzione di reddito pro capite per i paesi membri sarebbe notevole, calcolata in media tra i paesi Ue intorno al 6,5%. Di fronte a questo prezzo, prima di decidere di cedere alle tentazioni sovraniste e uscire dall’Unione Europea, ci si dovrebbe chiedere quali sono i problemi specifici che si vogliono risolvere e come l’eventuale uscita aiuterebbe a risolverli. Ci si dovrebbe anche interrogare su quali siano esattamente i vantaggi, non solo monetari, che l’Unione Europea può garantirci, in un mondo in cui l’egemonia economica, sociale, culturale e militare dei singoli paesi del Vecchio continente, anche di quelli più grandi, si va sempre più affievolendo. I travagli della Brexit nel Regno Unito sono un esempio lampante di che cosa vuol dire decidere di lasciare l’Unione Europea senza essersi posti prima queste domande.

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