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La comunicazione ha bisogno di una visione piu' creativa

, di Arianna Brioschi e Anna Uslenghi - entrambe lecturer presso il Dipartimento di marketing
Le campagne originali pagano due volte: si fissano meglio nella nostra memoria e generano un passaparola addirittura doppio

Chissà come mai a un certo punto si è incominciato a parlare di comunicazione non convenzionale. Che in pubblicità fosse utile, se non necessario, infrangere qualche regola era noto da sempre. In fondo, "comunicazione non convenzionale" non era che l'ennesima formula per esprimere lo stesso principio, ovvero che per essere efficace la comunicazione dovesse proporre qualcosa di differente, che sconvolgesse le attese dei consumatori e le abitudini del settore.
In realtà qualcosa di diverso in quell'espressione c'era. Innanzitutto c'era l'idea che la pubblicità non dovesse trovare spazio solo sui mezzi cosiddetti tradizionali – la convenzione da rompere era infatti rappresentata dall'uso dei mass media, specialmente televisione e stampa – ma potesse occupare mezzi meno ortodossi, inusuali e sorprendenti.
Quella convenzione di fatto non era mai stata messa in discussione. C'era poi la convinzione che, impiegando vie alternative, per fare pubblicità non si dovessero spendere per forza molti soldi. E anche questo è stato un bel cambio di visione. Oggi di comunicazione non convenzionale inevitabilmente si parla meno, non perché non se ne faccia più, tutt'altro. Secondo alcune ricerche un'azienda che decide di rimanere ancorata ai mezzi tradizionali rinuncia al 60% delle opportunità di costruire esperienze di marca, vale a dire che scelte che un tempo sembravano controcorrente oggi devono essere semplicemente considerate normali. Le marche si trovano di fronte una barriera di indifferenza: la prima sfida è far sì che le persone entrino in contatto con la pubblicità, la seconda è escogitare qualcosa di più interessante e coinvolgente, perché no anche utile, delle tante altre cose attraenti e divertenti che in ogni istante catturano la loro attenzione. Mai come oggi la comunicazione ha bisogno di sfidare le convenzioni, dal momento che la creatività è di fatto l'unica possibilità per superare quella barriera.
Vari esperimenti hanno mostrato chiaramente che le campagne più creative producono una discontinuità nella nostra esperienza - perché ci troviamo di fronte a qualcosa di mai visto o sentito e talvolta non immediatamente decifrabile - e proprio per questo ci attraggono di più, ci piacciono di più, ci inducono a elaborarle con meno preconcetti, si fissano meglio nella nostra memoria. In un questo senso la scelta del canale può avere un ruolo determinante. Le reazioni suscitate nei consumatori dall'uso non convenzionale dei mezzi classici o dall'uso di mezzi alternativi (non tradizionalmente pubblicitari) infatti sono analoghe a quelle innescate da un contenuto particolarmente creativo: con l'imprevedibilità, il coinvolgimento, l'entertainment, questi canali aggiungono valore alla pubblicità. Lo stesso messaggio veicolato in modo originale appare più interessante di quanto appaia se guardato in tv o letto su un giornale.
Ma l'aspetto davvero rilevante per le aziende è che la creatività si porta dietro uno strascico di sensazioni positive – si parla a questo proposito di feel-good factor – che, seguendo percorsi cognitivi ed emotivi, si trasferiscono alla marca. La creatività può diventare dunque uno spettacolare strumento di branding, capace di rendere l'offerta di un'azienda intrigante e attraente, meno prevedibile e anonima tra un'infinità di offerte sempre più simili. Inoltre dalle ricerche emerge che il passaparola generato dalle campagne più creative è due volte più grande di quello che nasce intorno alle altre campagne. Altra pubblicità, tutta gratis.