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Come si disegna un polo dell’innovazione

, di Tomaso Eridani
L’architetto Matteo Poli ha raccontato agli studenti del nuovo corso in ‘Creativity in urban settings’ come è stato ideato il masterplan per il quartiere Bovisa di Milano

Prendere un'area dismessa di 850mila mq, nel quartiere Bovisa a Milano, e disegnare un masterplan per riprogettarla come polo dell'innovazione e ricerca. Questo l'impegnativo compito affidato allo studio Office for Metropolitan Architecture (OMA) e illustrato da Matteo Poli, uno degli architetti che ha lavorato sul progetto, agli studenti Bocconi del nuovo corso 'Creativity in organizations and urban settings', tenuto da Severino Salvemini, Luca Martinazzoli e Beatrice Manzoni.

"Come modello abbiamo preso gli science park d'Europa e Usa - quelli di successo che hanno saputo integrare i centri e le aziende impegnati in ricerca e innovazione con le università," ha spiegato Poli. "L'intenzione più ampia è stata di dare una visione di lungo termine per il quartiere."

Come punto di partenza, ha illustrato Poli, è stata affrontata la questione dell'accesso e della viabilità. Al fine di eliminare traffico e inquinamento, per esempio, il progetto prevede solo strade di servizio, senza vie di attraversamento, collegate tramite un sistema di rotonde, per garantire una circolazione continua e fluida.

"Altri quartieri, come la Bicocca, sono stati riprogettati intorno ai nuovi edifici con progetti più utopici, di città ideale," ha spiegato Poli. "Questo progetto, invece, parte dalla funzionalità e accessibilità del quartiere per porre le basi per una zona più flessibile e dinamica."

Tra gli altri punti cardine del progetto, la questione della sostenibilità del quartiere, integrando trasporti, energia e tecnologia, e quella degli spazi verdi, integrando parco pubblico, verde privato e verde urbano. Gli spazi del quartiere sono stati poi collocati in modo da integrare e rendere funzionali le varie aree residenziali, commerciali, di spazi dedicati alla ricerca e il campus universitario.

"Nel suo insieme è un progetto innovativo e c'è bisogno di comunicarlo per fare sì che non venga vissuto come un progetto imposto dall'alto o ideato da extraterrestri," ha concluso Poli. "Bisogna creare consenso intorno a questi progetti di riqualificazione, discutendo di sviluppo urbano."

Il corso 'Creativity in organizations and urban settings', all'interno del corso di laurea specialistica in Economics and management in arts, culture, media and entertainment, si pone lo scopo di integrare gli studi di management e di urbanistica con l'analisi della presenza, e il loro impatto, di comunità creative nelle città. In particolare si affrontano le questioni di come i contesti sociali e urbani influenzano la creatività e di come aiutare questi cluster creativi a generare innovazione e sviluppo economico.

"Il corso intende approfondire il tema del legame tra città e industrie creative, utilizzando una serie di case study e testimonianze," spiega Martinazzoli. "Oggi le città crescono grazie anche alla presenza di talenti creativi e dunque vanno sviluppate e riprogettate anche per fornire servizi e funzioni per attrarli e trattenerli."

Tra i vari casi studiati quello del quartiere Isola a Milano, caso emblematico di come artisti e creativi hanno rivalorizzato un quartiere, di Los Angeles, città che si è sviluppata in funzione della presenza di artisti e capace di incubare con successo la creatività spontanea, e della Cina, con i distretti culturali di città come Shanghai e Beijing progettati e creati dall'alto in modo razionale e non spontaneo.

"Le scene creative nelle città nascono spesso spontaneamente, in situazioni marginali," spiega Martinazzoli. "La grande questione, dunque, è come coinvolgere le amministrazioni nel sostenere il popolo creativo senza però creare spazi troppi istituzionali."